Gentili lettori ,
la nostra lingua madre , l’Italiano, insieme ad altre come il Francese , lo Spagnolo e il Portoghese , oltre a dialetti ancora in auge come il Catalano e il Ladino , appartiene al ceppo linguistico degli idiomi di origine Neolatina , cioè che hanno come radici comuni l’antico Latino .
Mentre queste lingue iniziavano a differenziarsi tra loro nel mondo occidentale allora conosciuto , ad Oriente si sviluppavano altre culture e linguaggi : l’antica lingua Cinese , dalla quale derivò il Giapponese a partire dal V secolo dopo Cristo , con l’importazione di pittogrammi e ideogrammi come base della scrittura .
Il Giapponese
L’uso di una complessa simbologia richiama un fondamento della cultura che è anche alla base della religione Scintoista:
- ogni forma della natura è permeata di uno spirito soprannaturale (Kami) ,
- la vita stessa è raffigurata dal sole e nella mitologia locale dalla dea del sole (Amaterasu) discende direttamente l’Imperatore del Giappone .
Sole che campeggia anche nella bandiera nazionale (Hi-no-maru, cioè “Disco del Sole”).
Il carattere pittografico descrive un oggetto, quello ideografico descrive una idea , un concetto , mentre una scrittura fonetica collega ogni carattere ad un suono , attraverso singoli segni o coppie di essi , come le sillabe .
Caratteri Pittografici e Ideografici
Ebbene , nella scrittura attualmente in uso nel Paese del sol levante , i due sistemi coesistono : ad una vastissima serie di caratteri ideografici di origine cinese , i Kanji , si uniscono 48 caratteri sillabici (in totale quasi 2000 caratteri ufficiali!) e ad ognuno di essi corrisponde un suono , e l’unione delle sillabe forma poi le parole di senso compiuto , secondo due alfabeti fonetici chiamati Hiragana e Katakana (quest’ultimo usato per le parole d’origine straniera) , ma con molte regole grammatiche particolari rispetto a quelle cui siamo abituati in Occidente , di cui alcune veramente singolari , peculiari di una lingua parlata dal 99% dei giapponesi .
Facciamo qualche esempio
La formazione dei verbi , che terminano tutti con la vocale –u, sia all’infinito , sia al presente; i nomi, per cui non esiste distinzione tra maschile e femminile o tra singolare e plurale ; se vi è esigenza di distinguere nel numero si aggiunge un suffisso che rende l’espressione plurale (-tachi) .
Ricordate la fatica dei primi anni di scuola nella coniugazione dei verbi nei vari tempi dell’Italiano ? Passati , trapassati, imperfetto e due futuri (semplice ed anteriore): un incubo per molti bambini !
Ebbene , nel dialetto di Tokio , diventato la base del Giapponese moderno , esistono solo due tempi : passato e presente. Per tutti , una unica forma per la persona , che si premette al verbo per indicare l’autore dell’azione .
Una attenzione particolare nel rivolgerci a qualcuno, però , la dovremo usare per distinguere tra linguaggio formale ed informale.
Il Linguaggio formale in Giappone
In questo caso alla radice verbale si aggiunge il suffisso –masu , quando incontriamo una persona per la prima volta, ad esempio, o quando il discorso è rivolto ad una persona di livello sociale superiore al nostro.
Sbagliare forma non solo ci identificherà immediatamente come non giapponesi , ma rischia di farci apparire come maleducati , perché la scelta della forma è una regola fondamentale .
Le parole utilizzate nel linguaggio “onorifico” fanno parte di un sistema separato , chiamato “Keigo” : a seconda del livello formale , una frase si può esprimere in più di venti modi , dal più cortese al più colloquiale .
Ma attenzione
Quando poi sono diversi non solo le modalità ma anche i pensieri sottostanti , come nel caso delle recenti dichiarazioni di alcuni “officials” della Bank of Japan in merito alla politica monetaria , rischiamo davvero di perderci , ma ci sono anche degli elementi meritevoli di attenta considerazione .
Ricordiamo innanzitutto che il Giappone proviene da una fase ultraventennale di tassi ufficiali di interesse praticamente a zero o poco sotto, addirittura, come l’attuale -0,10% decisi per combattere una deflazione costante dei prezzi che non riuscivano a sconfiggere per vari motivi che qui non ci dilunghiamo ad elencare .
Più recentemente , una leggera inflazione (per i nostri standard beninteso) intorno al 3% , ha riacceso l’attenzione verso le prossime mosse della banca centrale che mostra segni di voler interrompere, prima o poi, le politiche precedenti , anche per gli effetti che, un’eventuale inversione di strategia, potrebbe avere sulla quotazione della divisa.
Le mosse della Banca Centrale
Cominciamo allora dalle dichiarazioni di Mr. Takata , o Takata-san come direbbero in loco , che fa parte di coloro che decidono il da farsi : “bisogna mantenere ancora i tassi molto bassi” , ha sostenuto , ma ha notato che ci sono segni di una inversione di tendenza nell’inflazione , che rendono più vicino il raggiungimento “sostenibile” del target del 2% , considerato livello ottimale di equilibrio .
Meno ottimista la sua collega Nakagawa , che concorda sulle dinamiche attuali , ma è scettica sulla tempistica del raggiungimento dell’obiettivo , che potrebbe riallontanarsi nel momento in cui i costi sostenuti dalle imprese per l’acquisto di materie prime dovessero rallentare nel loro trasferirsi ai prezzi finali per i consumatori .
La loro preoccupazione principale è di evitare di tornare agli anni della deflazione continua.
Sembra un paradosso : i tassi sono a zero con un’inflazione (3,1%) più alta del target , e non li alzeranno finchè l’inflazione non scenderà.
Tutto il contrario di quanto comunemente si pensi ed anche delle strategie messe in atto dalle banche centrali nel resto del mondo .
Dov’è allora l’inghippo ?
Nel termine “sostenibile” sopra citato , che qui non si riferisce a questioni ambientali e/o ecologiche , come nell’ormai “inflazionato” (perdonate il gioco di parole) e spesso improprio (come nel caso di alcuni prodotti finanziari…) uso che se ne fa altrove , ma al fatto che l’inflazione , come sostenuto dai citati relatori , non deve derivare da un aumento dei costi delle materie prime , che il Giappone non possiede e quindi deve importare , un fattore quindi esogeno rispetto all’economia.
Solo quando l’aumento dei prezzi sarà provocato da un aumento della domanda interna e da una crescita dei salari sarà considerato “sano” e quindi meritevole di una politica monetaria più aggressiva , che sarebbe inutile nella fase attuale , se non addirittura controproducente .
Visto lo sviluppo della situazione attuale in Occidente , dove le politiche monetarie pretendono di frenare l’inflazione e non ci riescono perché le cause sono esterne ai sistemi economici , ottenendo l’unico risultato di condurci sulla soglia della recessione , forse i responsabili della Bank of Japan non hanno tutti i torti .
Magari la loro lingua e la loro scrittura sono impenetrabili ai più , ma il contenuto e la logica dei loro discorsi non fanno una piega , perché supportati dai fatti che dalle parti di Washington (FED) e ancor di più di Francoforte (BCE), evidentemente, faticano ad interpretare nel modo corretto!
Ma….vediamo cosa accade a Sud Est
Tornando ad Est , ma più a Sud , abbiamo letto il recente discorso di commiato dell’uscente Governatore della Reserve Bank of Australia .
Mr.Lowe , che prossimamente lascerà il timone a favore del suo successore, parlando delle politiche monetarie post-Covid ha detto che , con il senno di poi (“hindsight”) , se qualche errore è stato commesso , probabilmente è stato nel fare troppo (tassi cresciuti troppo in fretta?) ma, ha aggiunto, che con il senno di poi sono tutti bravi .
Non tutti , diremmo noi!
Bravi (tutti in generale , non solo Lowe in Australia), sarebbero stati nell’accorgersi per tempo della minaccia inflattiva, senza considerarla “temporanea” (do you remember, Mr. Powell? ) e senza poi accanirsi in rialzi dopo che la stessa iniziava a calare , poiché non originata da fattori della domanda , ma dell’offerta di beni (costo delle materie prime e difficoltà nelle loro linee di fornitura) .
Ma, se il senno di poi è famoso , è perché quello di prima è appannaggio di poche e (spesso volutamente) inascoltate voci fuori da un coro ispirato al pensiero unico e dominante della finanza che conta .
Conta, ma non in senso matematico , se tralascia di considerare i numeri reali .
Andamento dei principali indici e mercati e commento
Se c’è una situazione che i mercati “odiano” è l’incertezza che, d’altra parte, sfocia in una fase che può offrire opportunità a chi punta su scenari che successivamente si materializzano , magari i meno prevedibili al momento.
Se poi l’incertezza deriva da un panorama macroeconomico oppure di politica monetaria prossimo ad un punto di svolta , o almeno così ipotizzato dagli operatori , le oscillazioni diventano più ampie e cambiano frequentemente di segno tra una seduta e l’altra .
Nel caso dell’ultima ottava il senso dei movimenti è stato però abbastanza uniforme , proseguendo nel trend di quelle precedenti a sfavore dei mercati di rischio , con le borse ancora cedenti a partire da quegli indici più sensibili alle attese sui tassi di interesse , come gli statunitensi Nasdaq (tecnologico) e Russell 2000 (small cap) .
A livello settoriale
I titoli del comparto Energy hanno messo a segno risultati positivi a causa dell’aumento del prezzo del petrolio , con il Brent europeo stabilmente intorno a 90 dollari : la “driving season” volge al termine , ma i produttori stanno perseguendo una politica di restringimento dell’offerta che impedisce ai prezzi di scendere più di tanto , discesa che sarebbe probabilmente più coerente con gli andamenti macroeconomici dei Paesi sviluppati che sono anche importatori di combustibili fossili .
I dati relativi all’Europa mostrano un diffuso rallentamento della crescita economica che si confrontano con l’attesa delle prossime decisioni delle banche centrali , che considerano preminente la lotta all’inflazione , come da obblighi statutari ; negli Usa la Federal Reserve invece ha un duplice compito istituzionale , perché deve anche garantire il necessario supporto allo sviluppo economico .
Proprio sul confine tra i due contrastanti obiettivi , frenare l’inflazione senza rischiare la recessione , si gioca l’attuale difficoltà decisionale e nelle attese dei mercati i rispettivi rischi sono di volta in volta meno o più temuti a seconda dei dati macro che vengono resi noti e delle loro implicazioni in tema di: prezzi al consumo , salari , crescita del Prodotto interno .
La difficoltà di avere ragione della dinamica inflattiva mantiene le attese sui prossimi sviluppi delle politiche monetarie ancora verso tassi magari non più alti degli attuali , ma destinati a rimanere tali per un periodo superiore a quello previsto in precedenza , e così i rendimenti obbligazionari restano su livelli elevati , con il rendimento del Treasury a 10 anni che continua a navigare intorno al 4,20-4,25 per cento.
Ampliando lo sguardo sulle classi di obbligazioni emesse da società (Corporate Bonds) e su quelle con più basso merito di credito (High Yield) , vediamo rendimenti non troppo distanti da quelli raggiunti nelle fasi di mercato più delicate , come il prossimo grafico mostra chiaramente :
In particolare
la curva più in alto appartiene ai rendimenti dei titoli emessi da società con rating basso , che offrono cedole più alte al prezzo di un maggiore rischio connesso alla solvibilità dell’emittente : rischio che si aggiunge a quello di tasso , il che comporta un esame approfondito delle prospettive finanziarie prima di prendere in esame il possibile investimento nel comparto .
Ma anche il solo rischio tasso basta e avanza per deludere nel breve periodo!
Se il rendimento del Treasury decennale sale di mezzo punto , il suo prezzo scenderà di quella differenza moltiplicata per gli anni che mancano alla scadenza , quindi di circa il 5% , sufficiente a sacrificare almeno un anno di utili cedolari se il titolo venisse venduto .
Abbiamo semplificato il calcolo per migliore comprensione : l’esatto movimento del prezzo dipende anche da altri fattori che incidono in misura meno ampia .
Considerando che le attese prevalenti sono per un calo dell’inflazione nei prossimi trimestri , che porteranno le banche centrali a rivedere la loro politica monetaria in senso meno restrittivo in un periodo che viene collocato tra la seconda metà del prossimo anno e l’inizio del successivo , si prevede uno scenario nel quale i tassi a breve (dei titoli a reddito fisso che scadono entro i due anni) sono destinati a diminuire di più di quelli a lungo termine ( dai sette anni in poi) , che comunque nell’arco della loro vita finanziaria assisteranno anche a periodi più lontani nei quali l’inflazione potrebbe risalire e quindi devono pagare un “premio” per questa eventualità in termini di maggior rendimento .
Disegnando graficamente le varie scadenze e relativi rendimenti , si ottiene una “curva” che riassume nella sua inclinazione questo sistema di aspettative :
E’ la curva dei c.d. “tassi swap” (relativi all’Euro)
che non sono propriamente i rendimenti delle obbligazioni , ma esprimono meglio le attese dei mercati sulla evoluzione del costo del denaro.
Il premio per detenere scadenze più lunghe apparentemente non esiste oggi come oggi , perché la curva è inclinata negativamente, ma nella sua forma normale la sua inclinazione è positiva e se oggi non lo è, dipende appunto dalle attese sopra descritte (calo dell’inflazione e successiva stabilizzazione) .
Quanto agli altri settori di mercato , le principali materie prime (tranne il petrolio) hanno vissuto un andamento mediamente negativo, anche l’Oro , nonostante il suo carattere difensivo come investimento .
Tra le principali valute , il Dollaro Usa ha continuato ad apprezzarsi , approfittando delle diverse prospettive economiche sulle due sponde dell’Atlantico , preludio ad un differenziale tassi più favorevole al biglietto verde , che diventa più attraente per gli investitori.
Le divise dei c.d. Pesi emergenti si sono invece indebolite essendo generalmente correlate in modo inverso all’USD : il loro debito in Dollari verso l’estero aumenta di valore e il suo servizio diventa quindi più costoso e difficoltoso , minando le loro capacità finanziarie.
I prossimi eventi sui quali si appunterà l’attenzione degli operatori saranno le decisioni delle principali banche centrali nelle prossime due settimane , che avvengono in un momento di incertezza e per questo motivo sono suscettibili di provocare ampi movimenti sui listini, a partire da quelli azionari .
La sintesi della situazione
come solito , è riassunta di seguito dal nostro indicatore. In riferimento a venerdì 08/9 segna un valore di 45, in discesa rispetto a sette giorni prima . Il valore superiore a 70 della scorsa settimana era stato raggiunto in modo repentino e , come previsto , ha corretto verso l’attuale area di neutralità , in attesa dei prossimi eventi .
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