Le obbligazioni Investment Grade a breve termine in valuta locale sono una delle asset class più importanti in un portafoglio tipo di un investitore. Esse sono gli strumenti più sicuri e stabili dove allocare il proprio denaro, poiché da un lato hanno un rischio di credito (probabilità di fallimento dell’emittente) molto basso, dall’altro non hanno oscillazioni di prezzo nel caso in cui i tassi di mercato dovessero salire. Per queste loro caratteristiche di sicurezza e stabilità di prezzo, tali titoli sono da sempre la parte fondante di un portafoglio finanziario e spesso ne compongono più del 50% dell’allocazione complessiva.
Per esempio, nel 2006 un portafoglio su base Euro con classe di rischio media, avrebbe detenuto probabilmente più del 40% del totale degli attivi in obbligazioni come:
- Titoli di Stato Tedeschi, Francesi, Italiani e Spagnoli con scadenza inferiore a 5 anni;
- BOT con scadenza inferiore ai 12 mesi;
- Strumenti del mercato monetario emessi da intermediari finanziari con scadenze inferiori a 12 mesi;
- Bond Corporate in Euro con rating superiore ad A e scadenza inferiore a 5 anni
Con altrettanta probabilità inoltre tale portafoglio avrebbe detenuto pochissima liquidità in conto corrente, poiché tutti i titoli sopra menzionati avevano rendimenti che potevano arrivare anche fino al 6% annuo e costo di liquidazione estremamente contenuto. Nessun consulente, quindi, avrebbe mai optato nel detenere liquidità in conto corrente piuttosto che ottenere quei rendimenti in strumenti che di fatto avevano un bassissimo rischio di credito e un limitatissimo rischio di liquidità e di prezzo. Anzi l’investimento in titoli di stato tedeschi, francesi e spagnoli dava ai portafogli di investitori italiani anche una protezione aggiuntiva dal rischio paese rispetto al detenere il denaro in conto corrente.
Dal 2008 in avanti, tuttavia, il mondo finanziario per come l’avevamo conosciuto è completamente cambiato. I tassi di interesse di politica monetaria sono stati portati a zero, trascinando con sé al ribasso anche i tassi di interesse che le obbligazioni super sicure offrivano agli investitori. Con la crisi del debito pubblico europeo del 2011, infine, e con l’attivazione delle politiche di quantitative easing da parte della Banca Centrale Europea non solo i tassi offerti dalle obbligazioni sopra menzionate sono collassati a zero, ma talvolta sono anche scesi in territorio negativo.
Sono ormai passati 99 mesi da quando, per la prima volta, i tassi di interesse sui titoli di stato tedeschi a due anni sono scesi sotto zero, o per usare un lessico “Netflixiano”, siamo entrati nel mondo del Sottosopra di Stranger Things.
Tale tendenza, poi accentuatasi nel 2014, ha colpito anche le altre obbligazioni Europee a basso rischio, fino ad arrivare anche ad influenzare alcuni settori del mercato High Yield, ovvero il mercato delle obbligazioni emesse dalle società con alta probabilità di fallimento.
L’assurdità dei tassi di interesse negativi sulle obbligazioni è matematicamente sconcertante: chi investe in titoli con rendimenti negativi otterrà a scadenza un po’ meno del capitale investito se le cose vanno bene e molto meno del capitale investito se le cose vanno male ed il titolo va in default. Se si detiene il titolo a scadenza non vi è possibilità di guadagnare su un investimento di questo genere.
Ora, potenzialmente l’investimento in titoli super sicuri a tasso negativo può essere visto come una assicurazione, quindi in generale si può comprendere l’investitore che compra un Bund a 2 anni al -0,75% di rendimento annuo per proteggersi dal rischio di fallimento dello stato Italiano. Ma come spiegarci un investitore che compra un BTP scadenza Dicembre 2021 ad un rendimento lordo del -0,4%, oppure un’obbligazione Enel 2024 al -0,16% o ancor peggio un’obbligazione di una qualsiasi banca europea a tassi negativi. Che protezione si ottiene nel fare questo? Perché si dovrebbe mai pagare per prestare il proprio capitale a soggetti terzi quando lo si può tranquillamente lasciare depositato in conto corrente allo zero percento di rendimento.
Per questo motivo, dal 2014, con sempre più convenzione, abbiamo sostenuto che detenere la liquidità in conto corrente, arrivando talvolta anche sopra al 30% degli asset complessivi, sia una scelta opportuna in quanto semplicemente tutto il comparto delle obbligazioni in Euro a basso rischio e a corta scadenza, hanno rendimenti inferiori rispetto a quelli ottenibili in conto corrente.
Tale percentuale sarebbe potuta esser anche più elevata se non fosse perché abbiamo mantenuto una discreta esposizione al rischio Italia, sia indirettamente tramite le Gestioni Separate, che direttamente tramite BTP. Ciò non tanto perché siamo soddisfatti e tranquilli di come i nostri politici stanno gestendo le finanze pubbliche, ma per il fatto che la Banca Centrale Europea si è sempre dimostrata estremamente accomodante nell’acquistare i nostri titoli. Oggi ci troviamo tuttavia ad un ulteriore bivio, dove anche i BTP hanno tassi di rendimento troppo bassi. I rendimenti sono oggi negativi sulle scadenze fino a 4 anni e inferiori all’1% sulle scadenze fino a 18 anni. Mai i rendimenti dei Titoli di Stato italiano sono stati così bassi nella nostra lunga storia.
Molti intermediari e consulenti dicono che la soluzione a queste dinamiche è doppia: da un lato si deve investire in fondi obbligazionari a gestione attiva, e dall’altro si deve investire in bond a più alto rendimento.
Purtroppo, la noiosa verità è che statisticamente e storicamente ciò non è vero. I fondi obbligazionari a gestione attiva hanno infatti management fee superiori all’1% e statisticamente i gestori nel medio termine non riescono a generare performance aggiuntiva rispetto al mercato nemmeno per coprire le loro fee, immaginiamoci per dare extra rendimento all’investitore. Alla fine dei conti, infatti, i fondi obbligazionari a gestione attiva non stanno facendo altro che assumersi più rischi di credito investendo in bond ad alto rischio e rendimento. Purtroppo, gli investitori sperimenteranno sulla loro pelle che tali strumenti non sono affatto sostituti della parte del portafoglio sopra citata, poiché non hanno né le stesse caratteristiche in termini di rischio di credito (probabilità di fallimento), né in termini di rischio di prezzo e liquidità.
Ciò è probabile anche per il fatto che gli spread creditizi sono comunque a livelli contenuti rispetto alla media storica, come è possibile vedere dal grafico sotto riportato. Certo, nel post COVID il rendimento aggiuntivo sopra i titoli risk-free in Euro è leggermente aumentato, ma è ancora nella parte bassa del range e soprattutto evidenzia come il down side risk (rischio di ribasso) sia enormemente maggiore rispetto ad un investimento monetario. In sostanza può anche starci l’investimento in titoli High Yield in Euro, ma l’allocazione deve essere limitata (5-10%) e ben lontana dal 50% sopra ipotizzato.
L’inevitabile conseguenza di queste dinamiche è che un portafoglio di media rischiosità in Euro, se vuole essere efficiente in termini di rischio e rendimento, potrebbe arrivare a detenere fino al 50% degli attivi in conto corrente, limitando al massimo l’esposizione alle obbligazioni Investment Grade a breve termine in Euro.
Chiaramente questo a patto che l’investitore abbia la fortuna di avere un intermediario che non lo penalizzi con un tasso di interesse negativo in conto corrente, politica che i nostri vicini di Svizzera, Austria e Germania già stanno subendo da anni.
Dal punto di vista commerciale tale scelta è estremamente difficile da perseguire per un consulente, mentre è impossibile da perseguire per un Private banker. Tuttavia, non ci sono pasti gratis nei mercati finanziari e fintanto che il costo del denaro imposto dalle banche centrali rimane negativo e la liquidità ampia, le alternative non esistono. Sono passati ormai 99 mesi dal passaggio nel “mondo del Sottosopra” dei Bund a 2 anni, pensiamo che ne passeranno tanti ancora prima di poter tornare stabilmente nel mondo reale.
In questo contesto l’investitore avveduto dovrà a nostro avviso convivere con un livello di liquidità disponibile in conto estremamente elevato e dovrà man mano valutare l’opportunità di aumentare l’esposizione al rischio sulla parte residua del portafoglio con un particolare occhio di riguardo a strumenti che proteggono dall’inflazione.
Notiamo infatti che il rischio più grande di colui che detiene tanta liquidità a rendimento zero è la perdita di potere d’acquisto causata dall’inflazione. Attenzione però che investendo in titoli obbligazionari a tasso negativo la situazione peggiora e non migliora, per questo la scelta ottimale potrebbe essere quella di aumentare al margine la componente azionaria e di materie prime.