I mercati non sono prevedibili
La vision di Archeide, sempre e con forza sostenuta, è che nel breve periodo i mercati finanziari in generale ed i mercati azionari in particolare non sono prevedibili.
Il postulato derivante da questa evidenza è il principio fondante della mission di Archeide, ovvero fornire una consulenza finanziaria che ottimizzi i costi e si focalizzi sul medio-lungo periodo, chiaramente mantenendo la totale trasparenza, indipendenza ed assenza di conflitti d’interesse.
Molto spesso tali concetti risultano difficili da metabolizzare per il cliente, perché sono spesso ribaltati da altri appartenenti al sistema finanziario, anche blasonati, che sostengono il contrario: ovvero che il vero valore aggiunto sta nell’anticipare i mercati.
Perché il medio-lungo termine
Il cliente rimane quindi spiazzato e non sa di chi fidarsi, del consulente che lo fa investire nel medio lungo termine cercando di ottenere il ritorno (“passivo”) offerto dal mercato, oppure del consulente che gli promette un ritorno positivo indipendentemente dal mercato.
Dal punto di vista statistico non c’è tuttavia partita, è ampiamente dimostrato che la capacità di un gestore di sovraperformare il mercato in un anno è inferiore al 20% e tale percentuale tende a scendere sotto all’1% se si amplia l’analisi ai 10 anni.
Ma non è questo oggetto di questa newsletter; qui si vuole cercare di spiegare in modo semplice il motivo per cui anticipare il ritorno nel breve è molto più difficile che nel lungo usando concetti matematici e teoretici.
Tutta questione di equazioni
La base concettuale da cui si deve partire è l’equazione di calcolo matematica del ritorno in un investimento in un indice azionario, essa è data, semplificando al massimo, da:
Senza troppi complicazioni, in sostanza, la formula dice che il ritorno annuo è dato:
- dalla crescita annua “g” dei fondamentali delle aziende (per esempio utili, fatturato o patrimonio netto contabile).
- dalla variazione dei multipli di mercato associata al fondamentale in questione (per esempio prezzo di mercato diviso utile, prezzo diviso fatturato e prezzo diviso patrimonio netto).
- dal dividendo annuo.
- dai costi di gestione annui del portafoglio
Chiaramente il tasso di crescita ed i multipli devono essere congruenti uno con l’altro, ovvero se si usa come multiplo il rapporto prezzo/utili, il tasso di crescita “g” deve essere quello riferito agli utili.
Una linea guida
Tale formula non permette ad un investitore di guadagnare matematicamente, ma gli permette di avere una linea guida per sapere cosa attendersi come ritorno prospettico sul suo investimento azionario. Proviamo a fare qualche esempio per capire meglio il concetto.
- Ipotizziamo per esempio di stimare il ritorno prospettico dell’S&P500 su un periodo d’investimento di 10 anni (T=10) utilizzando i multipli ed i tassi di crescita del fatturato.
- Ipotizziamo inoltre che i multipli di mercato del S&P500 non varino nel periodo d’investimento, ovvero che la componente numero 2 dell’equazione sopra abbia un effetto neutro sul ritorno prospettico.
- Ipotizziamo che il dividendo annuo dell’S&P500, oggi pari al 1.56%, non vari nell’orizzonte d’analisi. Ipotizziamo inoltre che il fatturato delle aziende cresca al tasso nominale del 6% (2% a prezzi costanti + 4% di inflazione).
- Ipotizziamo infine che i costi rimangano costanti e vengano ottimizzati allo 0,5%.
Secondo queste ipotesi il ritorno prospettico annuo sarà pari a:
Ora ipotizziamo, uno scenario opposto, ovvero che i multipli sul fatturato scendano del 20% nel periodo “T” di 10 anni, mentre il fatturato non salga ed il dividendo non vari, così come i costi.
Secondo queste ipotesi il ritorno prospettico annuo sarà pari a:
Ciò ci dice che, se oggi il compratore acquista a 100 Euro azioni che generano 100 Euro di fatturato (1 di multiplo) e dopo 10 anni esso vende a 80 Euro ogni 100 Euro di fatturato (1 meno 20% di multiplo) le stesse azioni che producono sempre 100 Euro di fatturato, esso genererà una minusvalenza del 20%.
A tale rendimento medio annuo negativo dovranno essere aggiunti i dividendi in positivo ed i costi in negativo.
Il rendimento prospettico
Tale modello ci permette di comprendere i possibili range di rendimento prospettico di un investimento variando le ipotesi di partenza.
Ai soli fini esemplificativi si pensi di mantenere costante i dividendi ed i costi di gestione e di fare un’analisi di sensitività su tasso di crescita del fatturato e multipli sul fatturato aggregato dell’S&P500.
I possibili scenari che ne derivano sono (matematicamente) i seguenti:
Ogni riga rappresenta un livello di variazione nel periodo di 10 anni (T=10) dei multipli sul fatturato, ogni colonna rappresenta un tasso di crescita del fatturato aggregato annuo delle aziende dell’indice. Ogni coppia di valori fornisce un rendimento medio annuo dall’investimento nell’S&P500 nell’orizzonte di 10 anni. È da segnalare che tale rendimento è annuo, quindi se si vuole calcolare il rendimento del periodo esso deve essere capitalizzato per 10 anni.
La matrice ci dice tanto, pur mantenendo un’estrema semplicità; tuttavia essa da un range molto ampio di ritorni e non indica nulla su quello effettivamente più probabile.
Ecco quindi che si riaccende la “battaglia” tra gestione attiva e passiva.
Il gestore attivo sostiene che lui è capace di entrare ed uscire dal mercato selezionando gli anni con profilo in basso a destra ed evitando quelli in alto a sinistra della matrice; il gestore passivo dice che non si genera valore facendo così perché statisticamente un gestore attivo “pesca male”.
Detto ciò è importante capire che anche la gestione passiva, pur mantenendo un orizzonte d’investimento di 10 anni (come in matrice), può generare un ritorno negativo. In caso di crescita del fatturato bassa e di multipli in calo, il ritorno atteso prospettico di un investimento nell’S&P500 può avere un ritorno medio negativo. In particolare, nella matrice sopra 6 eventi su 54 scenari (11%) generano un ritorno negativo in media.
La matrice ci permettere di comprendere meglio anche molte delle dinamiche che influenzano giorno dopo giorno i mercati finanziari.
Per esempio, spesso si dice che l’inflazione è negativa per i mercati azionari, però ciò non è del tutto vero: l’inflazione entra positivamente sul tasso di crescita del fatturato, ma allo stesso tempo influenza negativamente i multipli; inflazione in aumento porta a far crescere i tassi d’interesse che storicamente hanno portato alla contrazione dei multipli.
Quale delle due forze prevale?
Nel 2022 ha prevalso sicuramente la contrazione dei multipli, ma in futuro ciò potrebbe cambiare. Questa coesistenza di cause ed effetti a catena all’interno della matrice è un altro modo per dimostrare la difficoltà della gestione attiva nel breve periodo.
Un’altra evidenza che emerge dalla matrice è inoltre il motivo per cui una recessione ed in generale la deflazione è un fenomeno che è drammaticamente pericoloso per l’investimento azionario. Esso riduce il valore assoluto dei ricavi dell’indice, i quali anche a parità di multipli devono prima recuperare il terreno perduto e poi tornare a crescere al fine di generare un valore positivo per l’investitore.
Detto ciò, nel lungo periodo tale modello risulta estremamente utile per creare un approccio solido all’investimento azionario. È ragionevole pensare infatti che il tasso di crescita nominale (comprensivo d’inflazione) dell’economia sia la variabile che guida il tasso di crescita del fatturato dell’indice di mercato; tale approccio è seguito da molti investitori leggendari ed è allo stesso tempo semplice ed efficace.
Sempre secondo la teoria economica tradizionale si può stimare un tasso di crescita dell’economia potenziale vicino al 2% in termini reali, al quale si deve aggiungere l’inflazione, ipotizziamo al 3% in media nei prossimi 10 anni. Ecco quindi che, aggiungendo dividendi e costi, il tasso di rendimento base di un investimento azionario senza considerare le variazioni dei multipli può oggi avvicinarsi al 6.56% medio annuo.
Ad esso dobbiamo collegarci le possibili variazioni dei multipli di mercato sul fatturato. Ciò è estremamente difficile da calcolare in modo univoco e molti usano la storia come guida (es Warren buffet).
Multiplo Prezzo su Fatturato (USA)
Secondo tali dati i multipli sul fatturato sembrerebbero elevati e potrebbero calare anche significativamente per allinearsi alla media storica. Si consideri infatti che i multipli sono una misura che dovrebbe rimanere in un range definito e non possono per definizione salire costantemente. Vero è, però, che essi possono rimanere elevati per molto tempo, permettendo agli investitori di approfittare della crescita economica ed avere un ritorno positivo sull’investimento.
Il downside risk
Detto ciò, soprattutto se l’approccio d’investimento è passivo, il consulente e l’investitore non possono ignorare il downside risk, ovvero la possibilità che i multipli si riallineino con i valori storici. In questo caso emerge chiaramente che un calo prospettico tra il 20% ed il 30% non si può certo escludere e riteniamo che le prospettive d’investimento del mercato siano racchiuse nel range sotto evidenziato.
Per questo motivo, pur consigliando di rimanere investiti, riteniamo opportuno avere liquidità disponibile per mediare eventuali discese dovute da un ritorno dei multipli a valori più in linea con la media storica.
Inoltre, tale approccio ci permette di spiegare anche perché valutiamo positivamente l’esposizione al mercato azionario europeo e giapponese, che seppur abbia una crescita dei fatturati prospettici più contenuta, ha multipli più bassi (Giappone e Europa) e dividendi più elevati (Europa); tutto ciò diminuisce il downside risk dell’investimento.
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