Non solo l’inflazione, ma anche un mercato del lavoro forte.
Queste le motivazioni alla base del forte e deciso cambiamento di rotta delle banche centrali mondiali.
Prima la Banca d’Inghilterra, poi Federal Reserve americana, infine la Banca Centrale Europea hanno deciso che il 2022 sarà l’anno dei tassi di interesse in rialzo.
L’aumento dei tassi di politica monetaria ha come primo effetto l’aumento dei tassi interbancari, i famosi Euribor a 3, 6 e 12 mesi. Ciò porta inevitabilmente ad un rialzo delle rate dei mutui a tasso variabile e ad un aumento dei tassi dei mutui di nuova emissione. L’Euribor a 12 mesi è salito del 0.2% in 15 giorni, mentre l’equivalente americano, che si è mosso prima, è ormai salito di oltre l’1%.
Tassi di interesse in rialzo hanno poi l’effetto di far diminuire il prezzo di mercato delle obbligazioni. L’aumento dei rendimenti richiesti dal mercato per compensare le attese dei rialzi di tasso di politica monetaria, rende le obbligazioni esistenti meno appetibili, facendone calare il corso.
Un’obbligazione a 5 anni con cedola allo 0.5% che prima quotava 100, deve scendere di prezzo se i tassi sulla medesima scadenza ora salgono all’1.5%; in particolare dovrà scendere circa a 95, per compensare la differenza di tasso annuale (1%) per la durata residua (5 anni).
Infine, aumenti del costo del denaro tendono a ridurre la valutazione delle azioni e degli altri asset finanziari rischiosi. I modelli valutativi utilizzati nei mercati prevedono spesso l’attualizzazione dei flussi di cassa futuri; tassi in aumento abbassano il valore attuale di flussi finanziari rischiosi prospettici perché alzano la convenienza ad investire il denaro in asset a basso rischio.
Nel complesso quindi il percorso di rialzo dei tassi da parte delle banche centrali creerà al margine degli effetti “frenanti” alla crescita economica ed al valore del patrimonio dei cittadini.
Se da un lato tale “frenata” è negativa, dall’altro dovrebbe riequilibrare in parte le tensioni inflattive e rendere gli agenti economici meno preoccupati sull’andamento futuro dei prezzi.
In sostanza le banche centrali sperano che gli agenti economici capiscano che la sofferenza di breve periodo (più spese sul mutuo, meno ritorno dal portafoglio obbligazionario e meno ritorno dagli asset rischiosi) genererà benessere nel medio periodo.
Solo così le propensioni al consumo ed all’investimento non verranno impattate e l’economia, seppur in parte frenata, non tornerà in recessione.
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