Ogni mese la Banca d’Italia pubblica il bollettino “Banche e Moneta”, un report che illustra in modo sintetico e puntuale l’evoluzione, sia in termini di controvalore che di costo, dei prestiti concessi dal sistema bancario all’economia reale (imprese e famiglie).
Nell’ultimo bollettino pubblicato il 10 ottobre e contenete i dati aggiornati ad Agosto 2023, emerge chiaramente che l’economia reale italiana è oggi colpita da una significativa “stretta creditizia” o, come dicono gli anglosassoni, è in pieno “credit crunch”.
Prestiti bancari ai residenti in Italia. Variazione percentuale ultimi 12 mesi
Cosa significa?
I prestiti concessi dal sistema bancario alle aziende (linea rossa del grafico) sono scesi del 6,2% rispetto al livello dell’agosto 2022, mentre quelli concessi alle famiglie (linea blu del grafico) sono scesi dello 0,6%. Per le aziende inoltre emerge chiaramente che la discesa sta fortemente accelerando negli ultimi mesi.
Tale tendenza deriva in primis dall’aumento dei tassi d’interesse di politica monetaria.
Tassi di interesse bancari sui prestiti in euro per settore. nuove operazioni
La conseguenza del rialzo dei tassi
Sempre secondo il bollettino i tassi medi sui prestiti sono saliti attorno al 5,08% per le aziende ed al 4,35% per le famiglie, con TAEG per il credito al consumo ben sopra il 9%. Visto che i medesimi tassi nel 2022 erano ben sotto il 2%, è quindi più che comprensibile che alcune aziende e famiglie stiamo “attendendo” migliori opportunità per chiedere nuova finanza.
Sicuramente la parte della popolazione (sia aziende che privati) che opera a flussi attivi, ovvero che ha disponibilità di cassa liquide per coprire il costo degli investimenti, in questo periodo sta optando per utilizzare tale cassa piuttosto che richiedere il sostegno bancario; ciò non era vero in regime di tassi a zero, infatti in quel periodo anche i soggetti a flussi attivi erano fortemente incentivati a chiedere finanza bancaria a tassi fissi bassissimi piuttosto che utilizzare la finanza propria.
Calo dei depositi in conto corrente
I dati confermano tale tendenza, evidenziando anche un forte calo dei depositi in conto corrente (linea blu del grafico sottostante) di aziende e famiglie: gli agenti economici stanno quindi mettendo “al lavoro” il proprio denaro, sia investendoli in asset reali, ma anche in asset finanziari; non a caso infatti le obbligazioni emesse dal sistema bancario (linea rossa del grafico sottostante) sono fortemente salite nell’ultimo periodo e sono state depositarie di parte della liquidità in uscita dai conti correnti.
Tassi di interesse bancari sui prestiti in euro per settore. nuove operazioni
Il credit crunch
Il credit crunch non è dovuto però solo a minor domanda (shock lato domanda) di finanziamenti per più elevato costo del denaro, ma deriva anche da alcune importanti dinamiche lato offerta, ovvero dalla reticenza del sistema bancario ad aumentare o anche mantenere le erogazioni.
In Italia, soprattutto per quanto riguarda il tessuto delle PMI, l’incidenza maggiore la sta avendo il probabile depotenziamento delle garanzie statali sui prestiti alle aziende. Per far fronte prima alla crisi del COVID e poi alla crisi energetica Ucraina-Russia, lo Stato italiano aveva introdotto un sistema di garanzie pubbliche che permettevano alle aziende di chiedere finanza bancaria ottenendo garanzia fino al 90% del controvalore da parte del Medio Credito Centrale o di Sace.
Il “framework”, che in prima istanza doveva essere temporaneo ed evitare insolvenze a catena dovute all’improvvisa chiusura dell’economia mondiale per la pandemia, permetteva al sistema bancario di concedere finanziamenti alle aziende avendo di fatto il rischio di credito dello Stato italiano; ciò non solo permetteva alle banche di essere più permissive e meno attente alla selezione delle aziende più meritevoli, ma permetteva anche di allocare pochissimo “capitale” a garanzia del proprio attivo, abbellendo di molto i propri bilanci. Non è un caso quindi che nel corso del 2020, 2021 e 2022 i prestiti alle aziende sono cresciuti fortemente in valore (vedasi linea rossa del grafico 1): il sistema bancario italiano ha finanziato tutto e tutti.
Oggi le cose stanno cambiando.
Il governo, sia vocalmente che con i fatti, sta chiaramente indicando la sua contrarietà al sistema di garanzie pubbliche dei prestiti aziendali, il “temporary framework” di garanzie MCC e SACE dovrebbe quindi essere smontato o fortemente depotenziato a fine anno.
In questa situazione le banche sono di fronte ad un bivio,:
- rinnovare finanziamenti alle aziende (ivi compresi gli affidamenti a breve) senza garanzie, allocando più capitale di rischio e peggiorando i propri bilanci,
- oppure ridurre l’esposizione.
Stanno facendo entrambe le cose, probabilmente penalizzando le aziende con merito creditizio più scarso.
Inoltre, sempre dal lato dell’offerta, c’è un’altra dinamica che sta incidendo negativamente sulla propensione delle banche a concedere denaro all’economia reale: l’aumento dei tassi d’interesse di politica monetaria e la diminuzione degli acquisti di titoli di stato da parte della BCE hanno portato i tassi d’interesse su titoli di stato e su obbligazioni investment grade ad aumentare significativamente.
Gli agenti economici, tra cui le banche, hanno quindi oggi alternative poco rischiose e comunque redditizie su cui investire, facendo emergere una concorrenza indiretta con i prestiti all’economia reale.
A ben vedere queste dinamiche non erano pienamente evidenti alla data dell’ultimo bollettino della Banca d’Italia ed avranno pieno effetto in questi mesi.
Per questo i prestiti del sistema bancario italiano all’economia reale potrebbero calare ulteriormente nel IV trimestre 2023.
La posizione dei policymaker
La cosa più interessante è che tale tendenza non è inaspettata e nemmeno sgradita ai policymaker italiani ed europei, almeno allo stato attuale. In realtà il “raffreddamento” dell’economia reale è stato voluto ed è stato causato dalle politiche monetarie della BCE, che alzando i tassi d’interesse e riducendo gli acquisti di titoli di stati nel mercato secondario, ha voluto disincentivare sia lato domanda (aziende e privati), sia lato offerta l’aumento di credito nel sistema.
Le dinamiche sopra evidenziate quindi, sono l’evidenza che il meccanismo di trasmissione della politica monetaria all’economia reale sta funzionando.
La scelta politica di raffreddare l’economia non è masochismo.
Bensì la necessità di riguadagnare il controllo sull’inflazione e, aspetto ancor più importante, sulle attese d’inflazione degli operatori finanziari ed economici.
Meno credito, meno propensione alla spesa, un più alto rendimento disponibile negli strumenti finanziari ed un più basso rendimento atteso nelle attività imprenditoriali nell’economia, sono tutte variabili che dovrebbero generare diminuzioni dei prezzi, o quanto meno riduzioni delle tensioni inflazionistiche.
Anche questa dinamica è evidente nei dati.
L’aumento dei prezzi al consumo rispetto al valore dei 12 mesi precedenti (il tasso d’inflazione) è fortemente calato in tutti i principali paesi sviluppati ed è oggi molto più vicino ai valori target delle banche centrali (circa 2%).
Tasso d’inflazione dei prezzi al consumo. Variazione percentuale annuale.
In sostanza l’economia italiana, europea ed americana è in una fase di transizione.
La forte crescita economica post COVID è stata “chirurgicamente” depotenziata dalla politica monetaria restrittiva e sta oggi flirtando con la recessione tecnica. Il fatto che credito, crescita ed inflazione stanno calando è l’evidenza che la battaglia delle banche centrali contro l’inflazione sta per essere vinta, almeno nel breve periodo. Non a caso i mercati stanno oggi prezzando che i tassi d’interesse di politica monetaria non saliranno più nel breve periodo.
Fin qui quindi, nulla di nuovo.
Anzi si potrebbe dire, fin qui tutto come previsto da mercati e policy makers. Tuttavia, ciò che interessa è come potrebbero andare le cose nell’immediato futuro.
In particolare, ci si deve chiedere se la stretta non crei una recessione troppo profonda e non come ci si attende un “soft landing” dell’economia. Il rischio è che i policy maker tengano il freno premuto troppo a lungo e creino una mini crisi economica e finanziaria nelle principali economie mondiali. Dall’altro lato il rischio è anche che i policy makers prendano paura ed alzino il piede dal freno troppo presto, facendo rialzare la testa all’inflazione.
In questo contesto sembra sempre più evidente che ci stiamo avvicinando al momento della verità.
Fine 2023 ed inizio 2024 sarà la finestra dove scopriremo quale sarà il campo scelto: inflazione un po’ più elevata e crescita, o bassa inflazione e bassa crescita.
- Il primo campo penalizzerà tutti coloro che non riescono a mantenere il potere d’acquisto delle proprie entrate ed i propri asset, il secondo penalizzerà i più indebitati e le imprese e le famiglie meno solvibili.
- Il primo campo favorirà chi ha debito a tasso fisso ed asset finanziari reali, il secondo favorirà chi ha elevati risparmi e investimenti in obbligazioni a lunga scadenza, basso rischio e tasso fisso.
In entrambi i casi vi saranno opportunità per gli investitori; tuttavia, a nostro avviso sarà estremamente improbabile un ritorno alla crescita economica con bassi tassi e bassa inflazione che abbiamo avuto per molti anni dalla crisi del 2008 al COVID.
Tale crescita denominata “goldilocks”, ovvero alla Riccio d’Oro, né troppo calda ne troppo fredda sarà difficile da raggiungere.
Concludendo
Infine, è possibile che in questi mesi la prima direzione che prenderà l’economia e la finanza potrebbe essere quella diversa rispetto al campo preponderante nel medio periodo.
Ci spieghiamo meglio: se a fine 2023 l’economia dovesse tendere alla recessione, i policy maker potrebbero reagire con forza e tornare a stimolare l’economia, sarà allora che mercati ed economia potrebbero sfuggire dal controllo nella direzione opposta (crescita ed inflazione elevata).
Al contrario se a fine 2023 l’inflazione e la crescita dovessero sorprendere in positivo, allora i policy maker potrebbero reagire con forza alzando ulteriormente i tassi e magari strozzare del tutto la crescita nel 2024, spingendo quindi l’economia verso la deflazione ed eventuali crisi di debito.
I mercati ad oggi sembrano scommettere sul primo scenario
Non a caso il mercato dei titoli di stato americani sta oggi invertendo fortemente l’inclinazione della curva dei tassi, con i rendimenti a lungo termine che stanno salendo ed i rendimenti a breve termine che stanno scendendo. In sostanza si prevedono tassi d’interesse a breve in calo, ma possibili tensioni inflazionistiche nel medio termine che spingono al rialzo i tassi di interesse a più lunga scadenza.
In tutto questo poi si deve provare a gestire tensioni geopolitiche ed ambientali che hanno significativi effetti sia sull’economia che sulla finanza. Insomma, come al solito non ci si annoia nei mercati finanziari mondiali.
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