Le principali economie mondiali stanno in queste settimane affrontando l’ennesimo stop causato dalla pandemia COVID19. I lock-down forzati, più o meno rigidi, causeranno quasi certamente una nuova diminuzione del Prodotto Interno Lordo a cavallo tra 2020 e 2021. Nel mese di Febbraio e Marzo inizieranno ad uscire i dati macroeconomici relativi al quarto trimestre dell’anno che con ogni probabilità sarà estremamente negativo, soprattutto se lo si paragona con i dati dell’ultimo trimestre del 2019.
Inoltre, la mancanza di gettito fiscale, l’aumento della spesa sanitaria e assistenziale e l’aumento della spesa pubblica necessaria a ristorare i settori più colpiti dell’economia, stanno generando un crescente deficit fiscale sia in Europa che negli Stati Uniti, che in Asia. Tale deficit dovrà essere finanziato tramite nuove emissioni di titoli di stato, che si aggiungono a quelle necessarie a rifinanziare l’enorme stock di debito pubblico già presente prima della pandemia.
Il deficit crescente, l’elevato stock di debito e la diminuzione del PIL sono la tempesta perfetta per rendere le finanze degli stati teoricamente insostenibili. Ci si attende che il rapporto Debito su PIL dei principali paesi sviluppati salga fortemente nel corso del 2020 e continui a salire anche nel 2021, dove i governi devono continuare a fornire stimoli fiscali, ma il PIL potrebbe comunque non evidenziare tassi di crescita sufficienti per riequilibrare gli indicatori di solvibilità.
Secondo le stime della Commissione Europea sopra riportate il rapporto debito su PIL dell’Italia supererà il 160% nel 2020, così come UK, Francia, Canada, Stati Uniti e Giappone avranno tutti rapporti superiori al 100%. Ciò che impressiona è inoltre l’incredibile stimolo in termini di deficit che gli stati hanno introdotto nel 2020: in media i paesi del G20 hanno effettuato uno stimolo fiscale superiore al 10% del PIL nel 2020, con gli USA ed il Canada i più aggressivi con stimoli fiscali superiori al 15% del PIL.
Questi dati della Commissione Europea non prevedevano tuttavia la seconda ondata di lock-down e la necessità di introdurre almeno un altro giro di stimoli fiscali da parte dei governi tra fine 2020 ed inizio 2021. L’impatto negativo del COVID sull’economia è così forte che senza ulteriori stimoli il PIL imploderebbe e causerebbe comunque un aumento del rapporto debito su PIL, per la forte diminuzione del denominatore del rapporto.
Ciò mette i governi di fronte ad una scelta inevitabile, uscire con deficit vicini al 10% del PIL anche nel 2021, causando un ulteriore aumento del rapporto debito PIL di almeno di un 10%.
Guardando alla teoria scritta nei libri di scuola, tutte queste emissioni dovrebbero causare aumenti dei tassi di interesse, con il conseguente peggioramento della sostenibilità del debito. La teoria insegna che in caso di aumento di offerta di titoli, a parità di domanda, il tasso di rendimento per costringere un investitore a detenere quel titolo deve aumentare anche perché il rischio del titolo stesso è crescente. Tuttavia i libri di scuola da anni ormai sono stati riscritti per l’avvento di un nuovo agente nei mercati: le banche centrali.
Le banche centrali, dal 2008 ad oggi, hanno acquistato ingentissime quantità di titoli di debito pubblico, finanziando tali acquisti con la creazione elettronica di nuova moneta. Questo tipo di operazioni, chiamate in gergo Quantitative Easing, hanno creato la domanda di bond governativi necessaria per equilibrare la crescente offerta e non far crescere i tassi d’interesse. Anzi, a ben vedere, lo stimolo monetario delle banche centrali è stato così ampio che i tassi di interesse sui titoli di stato sono oggi ai minimi storici nonostante il rapporto debito su PIL dei principali paesi sviluppati sia tra i più alti mai visti.
Ma chi li ripagherà poi tutti questi debiti? Domanda lecita ma risposta non scontata. Anche qui la teoria tradizionale vorrebbe che i debiti contratti da un paese in anni di “vacche magre” venissero ripagati negli anni di “vacche grasse”, garantendo, assieme alla crescita del PIL nominale, un tendenziale equilibrio del rapporto tra debito e PIL.
Tuttavia sta iniziando a serpeggiare nei corridoi istituzionali l’idea che lo stock di debito accumulato dai vari paesi non potrà mai essere rimborsato con politiche tradizionali; vi è la necessità di un nuovo paradigma che sfati i tabù dell’ortodossia fiscale e monetaria.
In un’intervista di qualche mese fa rilasciata a Repubblica il presidente dell’Europarlamento David Sassoli ha lanciato la prima granata: “perché non cancelliamo parte del debito contratto dai paesi per contrastare la pandemia?”. Successivamente, nonostante sia Lagarde (governatore BCE) che Gualtieri (Ministro dell’Economia e delle Finanze) abbiano cassato l’ipotesi, alcuni importanti economisti italiani ed internazionali hanno fatto eco a Sassoli, pur proponendo soluzioni più blande.
Cottarelli, per esempio, ha fatto notare che tutto il debito pubblico emesso dallo stato italiano per finanziare lo stimolo fiscale del COVID è stato praticamente acquistato la BCE, che per sua natura non genererà mai tensioni nel mercato dei BTP. Anzi, dice Cottarelli, non c’è nessun bisogno di cancellare questo debito, poiché volendo potrebbe rimanere all’infinito nel bilancio della BCE. Inoltre, segnala Cottarelli, nemmeno un aumento dei tassi di interesse causerebbe instabilità del debito, poiché oggi tutti gli interessi maturati dalla banca centrale vengono girati al governo italiano tramite utili.
Ciò è vero per tutti gli stati Europei ed ancor più per Stati Uniti e Giappone. In Giappone, per esempio, secondo gli ultimi dati disponibili, il rapporto debito PIL è superiore al 260%, ma la Bank of Japan ha acquistato titoli di stato giapponesi per un valore pari al 100% del PIL; ecco quindi che se si escludessero dal calcolo del rapporto debito PIL i titoli detenuti dalla banca centrale, tale rapporto scenderebbe ad un ben più contenuto 160%.
Ma perché fermarsi qui? Non è forse concepibile l’ipotesi che le banche centrali acquistino creando moneta tutti i titoli di stato emessi da un paese? Non vi potrebbe essere quindi uno scenario dove i governi effettuano ristori ingenti a fondo perduto ad ogni cittadino e le banche centrali acquistano i titoli di stato necessari per finanziare tale politica? La risposta teorica è si, quella pratica è no.
Da un lato, infatti, dovrebbero farlo contemporaneamente tutti i paesi (come sta avvenendo in questa fase), poiché se così non fosse la valuta del paese più forte si apprezzerebbe fortemente rispetto alla valuta del paese più debole, causando instabilità economica e politica nei rapporti di forza internazionali.
Dall’altro, vi dovrebbe essere una forte tensione deflazionistica che contrasti il potenziale effetto inflazionistico derivante dallo stimolo monetario e fiscale intrapreso. Il rischio non vi sarebbe nell’immediato, ma successivamente, quando l’economia inizia a ripartire. In questo contesto la credibilità della banca centrale potrebbe essere minata e le attese di inflazione esplodere. Cottarelli sostiene che in questo scenario la banca centrale potrebbe sempre vendere pesantemente nel mercato i titoli accumulati ma la storia insegna che il rischio di far deragliare di nuovo l’economia è troppo alto e la banca centrale tende ad essere meno interventista del necessario.
Infine, grosse fette del tessuto produttivo di un paese sarebbero abituate a vivere di sussidi, assopendo in parte l’istinto imprenditoriale e la produttività del paese e portando ad una crescita del PIL reale più bassa.
Ci attendiamo quindi che le banche centrali eviteranno mosse troppo aggressive, pur continuando il supporto monetario attualmente introdotto. Tuttavia, riteniamo assodato il fatto che il debito pubblico acquistato dalle banche centrali non potrà più ritornare nel mercato, resterà in mano pubblica all’infinito. In questo senso quando si parla del rapporto debito PIL si deve imparare a depurare tale valore.
Se si esclude il debito nelle mani della BCE, il rapporto debito Pil dell’Italia scende oggi dal 160% al 120% circa, un livello simile rispetto a quello del 2010. Seppur poco ortodosso, tale ragionamento ci direbbe che il rischio del debito pubblico italiano è oggi il più basso da 10 anni a questa parte.