Il Recovery Fund ha un colore verde

Il 21 luglio 2020 i leader dell’EU hanno raggiunto un accordo di massima su un pacchetto congiunto del valore di 1.824 Miliardi di Euro che unisce e finanzia il piano finanziario pluriennale (1.074 Mld€) con un piano di rilancio straordinario “Next generation EU” (750 Mld€), che si aggiunge ai 540 Mld€ già disponibili per le reti di sicurezza (a sostegno dei lavoratori, delle imprese e degli Stati membri) legate alla crisi del COVID.

L’obiettivo dell’Europa è quello di sostenere l’economia comunitaria dopo il grave shock causato dalla pandemia Covid ma, allo stesso tempo, incentivare e dove possibile accelerare il processo di transizione verde (green deal europeo) e digitale. Nel complesso quindi l’Europa ha attualmente un Budget di 2.346 Mld€, non solo per mettere le basi per una ripartenza economica più integrata e resiliente, ma anche per modellare il futuro dell’unione con un approccio verde e digitale.

Andando più nello specifico, le dotazioni del Next Generation EU saranno erogate tramite sette programmi, sotto forma di prestiti (360 miliardi di EUR) e sovvenzioni (390 miliardi di EUR).

  1. Dispositivo per la ripresa e la resilienza: 672,5 miliardi di EUR
  2. REACT-EU: 47,5 miliardi di EUR
  3. Orizzonte Europa: 5 miliardi di EUR
  4. InvestEU: 5,6 miliardi di EUR
  5. Sviluppo rurale: 7,5 miliardi di EUR
  6. Fondo per una transizione giusta: 10 miliardi di EUR
  7. RescEU: 1,9 miliardi di EUR

Di queste facility quello di gran lunga più importante, anche per l’opinione pubblica e la politica nazionale, è il “Dispositivo per la ripresa e la resilienza”. Esso è composto per 360 Mld da prestiti ai vari stati membri, mentre i restanti 312,5 saranno sovvenzioni, di cui 219 potranno essere richieste nel 2021 e 2022, mentre i restanti 93,5Mld dovranno essere utilizzati nel 2023. Il metodo di allocazione delle sovvenzioni sarà calcolato in base alla disoccupazione, all’inverso del PIL pro-capite e alla quota di popolazione: più uno stato è grande e va male più sovvenzioni riceverà. In questo senso la vincitrice principale, fa piacere a dirlo, sarà l’Italia, ma di fatto tutti i principali stati (Francia, Germania, Italia e Spagna) riceveranno il grosso del sostegno, come è giusto che sia.

Ricordiamo a riguardo che la vera svolta sta nel metodo di finanziamento dell’attuale stimolo, infatti i fondi saranno reperiti tramite emissioni di strumenti di debito comunitario; quindi per la prima volta nella storia si è giunti ad una forma di federalizzazione della politica fiscale europea. Fino ad oggi infatti, ogni euro prestato ai vari stati nazionali era contro-garantito da stringenti forme di salvaguardia, che potevano in casi estremi portare anche al commissariamento del paese debitore. Da oggi il denaro viene concesso senza particolari restrizioni, se non la destinazione finale degli investimenti e l’approvazione a maggioranza qualificata di un “piano nazionale per la ripresa e resilienza” dove ogni stato dovrà spiegare e giustificare l’utilizzo del denaro. Certo, questi piani dovranno essere congruenti alla visione e mission europea, ma una volta raggiunto l’accordo, il denaro è concesso “a fondo perduto”. Una svolta epocale.

È lecito quindi pensare che questo possibile cambio di passo della comunità europea verso quello che dovrebbe realmente essere, un’unione monetaria e fiscale, abbia messo le basi all’attuale miglioramento del valore dell’Euro verso le principali valute mondiali.

Nel mese di luglio EURUSD ha rotto l’importante livello di 1,15 USD ed ha accelerato al rialzo, rompendo altresì la trend line che collega tutti i principali punti di massimo degli ultimi 13 anni. Così come indica la valuta quindi, per la prima volta da molti anni a questa parte, anche la politica Europea sembra voler cambiare passo, facendo perno sull’area dove è già un’eccellenza mondiale, l’economia sostenibile.

Non tutti i media hanno a nostro avviso colto l’aspetto più importante di questi annunci, che va al di la del mero sostegno politico condiviso al progetto europeo: il messaggio è che l’Europa sarà nei prossimi anni il paese che più investirà nelle energie rinnovabili e nelle tecnologie abilitanti al risparmio energetico, ivi compresi i sistemi di bilanciamento della rete e delle comunità energetiche. Già oggi l’Europa è avanti di almeno 5 anni rispetto a Stati Uniti ed Asia nel settore e questo divario sarà destinato ad ampliarsi.

In questo senso, non solo vi saranno fortissimi incentivi all’istallazione di energia verde e nell’efficientamento energetico a livello di singolo stato (vedi superbonus al 110%), ma anche le aziende quotate avranno un ruolo via via crescente nel fornire servizi di gestione e armonizzazione di questi asset.

Un investitore di medio-lungo periodo dovrà tenerne conto e adattare il proprio portafoglio. Non ci riferiamo solo al comparto ESG, ma più in generale a nuovi modelli di business che nasceranno anche per player ad oggi esterni al comparto ESG tradizionale, per esempio le società energetiche e le grandi multinazionali oggi legate ancora agli idrocarburi.

Per la prima volta da molto tempo ci sentiamo orgogliosi nell’essere Europei.

Detto questo, siamo altresì consapevoli che il processo non sarà immediato e privo di possibili inversioni a “U”. Per esempio, non dobbiamo dimenticare che i fondi saranno disponibili non prima del 2021 e che, se oggi c’è pieno supporto politico al programma per la crisi legata al COVID, non è detto che nei prossimi anni alcuni paesi possano andare meglio di altri e ritenere queste forme di sostegno fiscale controproducenti per i propri interessi nazionali.

Vero è che il dado ci sembra tratto e il processo difficilmente reversibile. Queste forme di rilancio, partite a livello monetario con il Quantitative Easing della BCE e con il “What Ever it Takes” di Draghi, hanno oggi finalmente una connotazione di politica fiscale che rendono i vari stati ancor più legati tra loro.

In questo contesto un investitore accorto dovrebbe iniziare a pesare sempre meno la probabilità (pur sempre esistente) di ritorno alle valute nazionali. Quanto questo sia già prezzato nei mercati è difficile dirlo, ma a valutare dagli spread tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi, riteniamo che non tutto sia stato già digerito.

Dal punto di vista operativo quindi considerare sempre più come asset strategico di medio lungo termine l’investimento in azionario sostenibile europeo e sfruttare eventuali fasi di panico relative al deragliamento del progetto europeo come opportunità di accumulo. Titoli di stato tedeschi con tassi fortemente negativi, sono invece a nostro avviso un investimento da valutare con estrema attenzione, chiedendosi se la protezione da essi fornita è correttamente commisurata al rischio da cui essi proteggono.

10 Agosto 2020