Il prezzo del gas in Europa è salito qualche giorno fa, per la prima volta nella storia, sopra i 1.000USD per 1.000 metri cubi, trainato da una crescente domanda e da limitate disponibilità dal lato dell’offerta.
L’economia inizia a scottare!
L’aumento dei prezzi nel mercato primario è inoltre destinato a colpire industrie e famiglie nell’immediato futuro. Secondo un recente articolo del sole 24 ore, dal 1° ottobre in Italia scatterà un rincaro della bolletta della corrente elettrica (che in Italia si produce soprattutto con il Gas) del 29.8% e del metano del 14.4%. Tali rincari recepiscono inoltre solo l’aumento dei prezzi del trimestre precedente e non le attuali ulteriori salite dei corsi.
Valore indice 100 a gennaio 2020 – fonte Bloomberg via Sole 24 Ore
L’aumento inoltre sarebbe stato superiore al 45% per l’elettricità ed al 30% per il gas, se il governo non fosse intervenuto per mitigare il rincaro, annullando in via transitoria gli oneri generali di sistema e dimezzando l’IVA.
Tuttavia, come è possibile vedere dal grafico sopra riportato, i rincari nel mercato primario sono ben più elevati e difficilmente neutralizzabili da un paese come l’Italia che, per il momento, non è indipendente energeticamente.
Tali dinamiche di surriscaldamento dell’economia non sono isolate al nostro Bel Paese.
Cosa succede fuori dall’Italia
La Cina ha in queste ultime settimane enormi problemi di approvvigionamento e generazione di elettricità (anche li in parte derivata da gas naturale) che stanno causando black-out generalizzati in tutto il territorio cinese, portando anche a blocchi diffusi della produzione in strategiche aree industriali.
Non sta aumentando solo il prezzo del gas ma anche altre materie prime come l’acciaio, la plastica ed il rame, i quali sono vicini ai massimi storici.
Forse il petrolio è la commodity energetica che meno sta crescendo in questo periodo.
In questi termini stanno incidendo pesantemente le politiche di incentivazione energetica introdotte dall’Unione Europea che disincentivano l’utilizzo di petrolio e dei suoi derivati nei processi industriali e favoriscono invece quello del gas naturale (minore impatto di CO2).
Il rialzo delle commodity non è il solo fattore che sta contribuendo al rialzo dei prezzi di produzione ed al consumo.
Un mix tossico causato dai blackout elettrici in Cina, dalla scarsità di spazio per nuove esportazioni e dalla crescente domanda per ricostituire le scorte post COVID, stanno portando ad aumenti significativi e irreperibilità dei semiconduttori usati in praticamente tutti i dispositivi elettronici moderni, ivi incluse le auto ed i macchinari industriali.
Il surriscaldamento dell’economia non è solo una questione di costi in aumento
Non è solo un problema di costi in aumento, ma anche e soprattutto di irreperibilità dei materiali. Molte aziende non sono in grado di soddisfare la domanda di beni finali perché non hanno le materie prime per produrli. I container dalla Cina sono in ritardo di mesi ed il loro costo è salito da 5 a 10 volte il prezzo di inizio 2020.
Costo in USD di un continer – fonte Dewry via Sole 24 Ore
Nel mercato immobiliare le dinamiche sono simili, anche se per motivi diversi.
Il superbonus 110 e una rinnovata fiducia nella crescita economica, sta spingendo fortemente le famiglie ad investire e rinnovare i propri asset immobiliari.
Tuttavia, l’offerta di manodopera, di materiali, di servizi accessori (impalcature per esempio) sono notevolmente inferiori rispetto alla domanda, e tale tendenza peggiorerà significativamente nei prossimi mesi con il rinnovo dei bonus edilizi al 2023.
Non si trovano maestranze, non si trovano materiali per istallare il cappotto, non si trovano pompe di calore, non arrivano container di moduli fotovoltaici e batterie dalla Cina. Anche nel caso in cui i materiali sono disponibili, i prezzi sono notevolmente in crescita e gli operatori lavorano con listini mensili per cercare di non vedersi azzerata la marginalità.
Seppur queste dinamiche sembrino negative, a ben vedere potrebbero anche essere prese con ottimismo dai mercati finanziari.
Prima di tutto l’inflazione tende a ridurre il valore reale del debito contratto a tasso fisso. L’esempio che rende meglio l’idea è quello di un mutuo immobiliare: se il contraente ha un mutuo di 100.000€ a tasso fisso ed il suo immobile vale 100.000€ esso ha un rapporto d’indebitamento/asset pari a 1, se l’inflazione porta il valore dell’immobile a 110.000€ il rapporto d’indebitamento scende a 0.90 (100.000€ del debito diviso 110.000€ dell’asset). Simili considerazioni le si possono fare con i ricavi aziendali, con gli stipendi dei lavoratori o con il PIL di uno stato. Chiaro che in un’economia mondiale super-indebitata l’inflazione è una medicina importantissima, seppur abbia degli effetti collaterali.
Secondo, i colli di bottiglia nella logistica mondiale stanno in parte rallentando una ripresa economica che altresì sarebbe ben più elevata. Ciò non è del tutto negativo per i mercati, perché costringe le banche centrali a mantenere un approccio espansivo (costo del denaro basso e continue immissioni di moneta nel sistema tramite operazioni di quantitative easing) pur in un periodo di elevata e crescente inflazione. Da un lato, infatti, le banche centrali dovrebbero teoricamente ridurre lo stimolo all’economia per evitare che la stessa si surriscaldi sia in termini di crescita che in termini di inflazione. Tuttavia, sono molto restie a farlo perché pensano che la crescita sia messa oggi in pericolo dall’aumento delle materie prime e dai colli di bottiglia logistici.
Risultato: l’inflazione ridurrà lo stock debitorio, l’economia crescerà ma non si surriscalderà e le banche centrali continueranno ad essere espansive almeno fino al 2022.
E nel 2022 cosa potrebbe succedere?
Sicuramente un rischio concreto è che lo shock inflazionistico e logistico non si interrompa nei prossimi mesi.
La Cina ha criticità strutturali che la stanno portando a concentrarsi sul mercato interno, trascurando il suo storico ruolo di produttore a basso costo per l’economia occidentale. L’Europa e l’America sono schiavi della Cina e da essa dipendono, soprattutto in alcuni settori strategici come le rinnovabili e l’elettronica; questa crisi sta rendendo politicamente e socialmente palese questa pericolosa dipendenza.
Il risultato potrebbe essere un persistente aumento dei costi di produzione per le aziende, per minore disponibilità di prodotti dalla Cina e per la scelta di alcune aziende occidentali di riallocare la produzione nel proprio territorio.
Ecco, quindi, che in un contesto di persistente inflazione molte aziende occidentali potrebbero subire temporanee riduzioni di marginalità, probabilmente incompatibili con gli attuali multipli di mercato.
Sul lato della crescita economica invece il rischio è quello che sorprenda al rialzo nel corso del 2022. Molti settori dell’economia sono in salute ed i primi mesi dell’anno vivranno anche di rendita per tutti gli ordinativi che non saranno evasi per problemi logistici alla fine del 2021.
Un esempio è l’attività di ricostituzione delle “rimanenze” di auto, oggi estremamente basse rispetto i livelli storici. La diminuzione di scorte nell’automotive sta riducendo il PIL in questi mesi ma potrà farlo crescere molto nel momento in cui il canale logistico si sbloccherà.
Numero di auto disponibili ed invendute negli USA – fonte BEA
Simili dinamiche le si stanno sperimentando anche in altri segmenti industriali e nella filiera immobiliare. In questo contesto l’Italia potrebbe essere uno dei paesi che sorprende di più in termini di crescita nel 2021.
Infine, le banche centrali saranno costrette a normalizzare, almeno in parte, la loro politica monetaria ma lo faranno gradualmente. In questo senso il rischio sarà più legato ad un’economia e ad un’inflazione che si surriscalderà sopra i parametri target delle banche centrali. Tuttavia, dopo 20 anni di deflazione e possibili crisi debitorie un po’ di “surriscaldamento” non farà male a nessuno, soprattutto in Italia.
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