Investimenti 4.0

Le regole per gestire al meglio il proprio patrimonio?

Poche, semplici ed efficienti. L’innovazione crea valore se usata nel modo giusto. Ciò è vero nell’industria, nella vita sociale e anche nei mercati finanziari. Negli ultimi vent’anni i progressi tecnologici applicati al mondo della finanza sono stati impressionanti sotto diversi aspetti tra cui, i più evidenti sono:

  • diminuizione  dei costi,
  • maggiore disponibilità  di flussi informativi e
  • maggior qualità dell’analisi oggettiva dei dati disponibili al fine di valutare i processi d’investimento.

Oggi un investitore retail ha accesso al mercato con costi di transazione e/o gestione super competitivi.

Un disoccupato del Texas o del basso Polesine può aprire una piattaforma di brokeraggio online comprando un future sullo S&P500 (il contratto più utilizzato dai “pro” per assumere posizioni lunghe sull’azionario americano) del controvalore di 200.000 USD a 3 USD.

Un tempo, per molti retailer, non vi erano piattaforme per acquistare questo tipo di contratti e per eseguirli si doveva pagare oltre 30 USD a contratto.

In sostanza non solo il “retail” ha oggi accesso agli stessi mercati dei “pro”, ma riesce a farlo a costi bassissimi, scesi di oltre il 90% in due decenni. Simili considerazioni le si possono fare sull’investimento passivo indicizzato, dove oggi chiunque può acquistare un ETF a replica passiva sull’azionario mondiale con commissioni di gestione inferiori allo 0,2% all’anno mentre, vent’anni fa, non si trovava un fondo azionario retail a meno del 3% all’anno.

Passando ai flussi informativi, un tempo le decisioni degli operatori erano influenzate da informazioni che il retail aveva grossa difficoltà a reperire, oggi non più.

Un tempo le informazioni anche se pubbliche, giravano con enorme anticipo tra le orecchie dei “pro”.

Certo non tutte le operazioni erano basate su imbeccate alla Wall Street di Gordon Gekko del tipo “Ferro azzurro ama Anacott Acciaio”, ma il “retail” era praticamente certo che la controparte a cui vendeva e/o acquistava uno strumento aveva più informazioni di lui.

Oggi internet, Twitter e le notizie digitali hanno rivoluzionato la finanza e i flussi informativi sono in pochi secondi palesi a tutti. In questo senso i “pro” hanno un vantaggio nel trading algoritmico, dove investendo carriole di dollaroni, provano ad avere una funzione di reazione alle news di un millisecondo più veloce del proprio competitor.

Tuttavia, un investitore di medio periodo con una connessione ad Internet, che tralascia il day trading e lo scalping, non ha né più né meno informazioni rispetto ad un colletto bianco di Wall Street, ma solo una capacità più o meno buona di processarle.

Infine, la tecnologia ha fornito un’ulteriore arma di democratizzazione del processo d’investimento: la disponibilità e fruibilità di dati ed analisi sui diversi approcci d’investimento.

Qualsiasi investitore e/o consulente con un minimo di competenza e metodo può verificare tramite dati storici quali siano gli  approcci all’investimento che hanno avuto successo e quali altri sono stati palesi buchi neri per i risparmi. Queste analisi permettono di rispondere a domande metodologiche in modo oggettivo.

Evidenti inefficienze

Per esempio, vi è ampia evidenza di come il market timing (aspettiamo e valutiamo il momento più opportuno per investire….) e/o l’idea di selezionare i “cavalli vincenti” (dammi una dritta….!!!!) o non funziona o ha un’incidenza estremamente ridotta nella determinazione dei ritorni di un portafoglio nel tempo.

Ciò è ben evidenziato nel grafico sotto riportato, dove emerge che l’asset allocation (il mercato) è quella che definisce la quasi totalità del rendimento del portafoglio mentre la gestione attiva ed altri stratagemmi tendono a togliere valore, piuttosto che a crearlo.

E poi evidente come i fondi a gestione attiva (colonne in rosso sul grafico sotto riportato) tendono a non battere il mercato di riferimento (colonne in giallo) specialmente tanto più si allarga l’orizzonte temporale di osservazione. Tale sottoperformance non riguarda solamente l’intero spettro di asset class azionarie sotto riportate, ma è altresì diffusa anche alle altre asset class che compongono il portafoglio.

Infine tale sottoperformance tende ovviamente ad aumentare all’aumentare delle commissioni creando delle perdite di redditività significative. Solo per informazione, una differenza di solo 1% di rendimento all’anno dovuto ai costi, per 20 anni su una somma di 100.000€, crea una differenza di 24.870€, immaginatevi quando si sale al 3%.

 

Ma in questo contesto, nonostante la tecnologia ci abbia permesso di accedere ai mercati in modo efficiente ed a basso costo dimostrandoci che i “pro” non hanno informazioni privilegiate e soprattutto confermandoci che i fondi attivi con alte commissioni non hanno la capacità di generare valore, ci si domanda perché ci si ostina ad adottare un approccio “old school” agli investimenti basato su:

  1. Elevate commissioni di gestione;
  2. Importanza del “brand” come assicurazione di migliori informazioni disponibili;
  3. Investimento in Fondi o Gestioni che sottoperformano il mercato di riferimento.

Soluzioni concrete

Non ha forse più senso impostare il proprio approccio adottando rigorosamente investimenti a basse commissioni, un asset allocation concretamente costruito in base ai propri obiettivi di vita e una gestione passiva quanto più agganciata  benchmark possibile? Oltre a queste evidenze, di quante altre prove abbiamo bisogno per evolvere ed adottare un approccio “all’investimento 4.0” giusto per richiamare un termine che va di moda?

Attenzione tuttavia a pensare che sia semplice l’adozione di queste efficienti regole per ottenere successo nel processo d’investimento comprando soggettivamente ed a caso strumenti a replica passiva e con basse commissioni.

Il processo d’investimento è un delicato equilibrio di regole, compromessi ed anche buon senso. Le regole ferree di condotta portano al corretto profilo di rischio del portafoglio per l’investitore. I compromessi generano un’adeguata diversificazione di asset class all’interno del portafoglio, mixando asset dall’elevato ritorno atteso con asset tendenzialmente meno “allettanti” ma che bilanciano il portafoglio in caso di correzioni al ribasso dei mercati (effettiva diversificazione).

Il buon senso poi è necessario per attuare corrette ed opportune politiche di ribilanciamento tra le varie asset class, senza farsi prendere troppo dalle mode o dalle fobie di breve periodo.

In questo ambito le conoscenze (educazione finanziaria) e le capacità attuative tra l’investitore retail e l’investitore professionale sono ancora molto distanti pertanto è qui che si può trovare il valore aggiunto di un buon consulente indipendente con la conseguenza di ottenere un beneficio immediato (economico, finanziario e psicologico) utile al cliente anche per comprendere il costo di una parcella trasparente.


Resta sempre aggiornato sul mondo della finanza e degli investimenti!

👉 Iscriviti alla nostra Newsletter

Seguici su

LinkedIn e Instagram