Chi sono le aquile in gergo finanziario?
In gergo finanziario una banca centrale è definita “colomba” quando attua una politica monetaria accomodante, mentre viene chiamata “aquila” quando decide di perseguire una politica più restrittiva.
Le colombe sono propense a tenere basse i tassi d’interesse e ad immettere liquidità nel mercato finanziario, le aquile sono al margine a favore di tassi di interesse più alti e di ridurre lo stimolo monetario presente nel sistema.
Negli ultimi 15 anni le banche centrali sono state docili colombe, estremamente propense a stimolare l’economia con tassi bassi e fiumi di liquidità, incuranti delle conseguenze.
La visione diffusa è sempre stata quella che le economie occidentali sono uscite dalla crisi subprime del 2008 e dalla crisi del debito europea del 2012 fortemente indebolite e sistematicamente instabili.
Lo stimolo monetario è sempre stato necessario per i policy makers al fine di evitare ricadute in recessione di economie cagionevoli.
Solo in alcuni limitati periodi, la Federal Reserve americana e la Banca d’Inghilterra, tra le 4 grandi banche centrali mondiali (i.e. FED, BoE, ECB e BoJ), sono state capaci ad alzare credibilmente i tassi d’interesse, ma anche in queste fasi l’approccio restrittivo non è stato aggressivo, bensì estremamente cauto.
Questo è ancor più vero per l’ECB e la BoJ le quali non sono nemmeno riuscite a muoversi dal pavimento dei tassi a zero.
Questa tendenza è evidente nel grafico sopra riportato che mostra l’andamento dei tassi d’interesse americani dal 1990 ad oggi.
I ‘voli’ dei tassi nel mondo finanziario
Possiamo vedere come dopo una lunghissima fase di tassi a zero, la FED abbia finalmente alzato i tassi nel 2016, ma anche in quel caso i rialzi sono stati molto meno violenti rispetto ai precedenti cicli restrittivi (2004-2007, 1999-2000 e 1993-1995).
Nel 2021 tuttavia il mondo è cambiato e dopo più di 30 anni, è ritornato a far visita alle principali economie mondiali l’inflazione.
Oggi il tasso di crescita dei prezzi al consumo è al 7% in USA, al 5,3% in Germania, al 5.4% in UK, al 3.9% in Italia ed al 6.5% in Spagna.
Solo Francia, Giappone e Cina tra i principali paesi restano con tassi d’inflazione vicini ai target delle banche centrali (2%).
In un primo momento le banche centrali si sono comportate da colombe, hanno apertamente sostenuto che la tensione inflattiva attuale è temporanea e hanno continuato imperterrite a stimolare l’economia.
Poi improvvisamente in gennaio 2022 le cose sono cambiate per FED e BoE, le quali non solo hanno smesso di sminuire il pericolo inflattivo, ma hanno dichiarato di voler agire con convinzione per arginarlo.
Cosa è successo a partire dal 2022
In particolare, questa settimana la FED americana ha tirato fuori gli artigli, ed il suo governatore Jerome Powell ha tenuto a nostro avviso la conferenza stampa più incisiva da molto tempo a questa parte, in totale discontinuità con il passato.
Il messaggio in poche parole è:
“the hawk is back! E tenete ben presente quanto segue”:
- Il ruolo della FED è quello di tenere l’inflazione al 2% e di massimizzare l’occupazione, oggi l’inflazione è elevata e continuerà ad esserlo nel breve periodo, il mercato del lavoro inoltre è in ottima salute.
- L’economia sta crescendo e non necessità più di sostegno monetario così elevato.
- La FED inoltre è fortemente determinata ad ancorare le attese d’inflazione del mercato al suo target del 2%.
- La FED è quindi pronta ad alzare i tassi d’interesse con convinzione ed a ridurre la liquidità presente nel sistema.
Nel sistema finanziario americano non c’è stato solo un cambio di rotta
Quello che ci ha colpito non è solo stato il cambio di rotta, ma la fermezza e l’univocità del messaggio.
Non a caso i mercati valutari hanno visto un dollaro apprezzarsi nei confronti delle altre valute ed i mercati obbligazionari americani hanno scontato immediatamente nel mercato a termine dei tassi d’interesse ben 5 rialzi dei tassi nel 2022.
Utilizzando il calcolatore di probabilità disponibile nel sito del Chicago Mercantile Excange vi è oggi oltre il 50% di probabilità che i tassi a breve americani raggiungano l’1.25% entro fine 2022.
Calcolatore di probabilità sui FED Fund rate
(https://www.cmegroup.com/trading/interest-rates/countdown-to-fomc.html)
Le implicazioni di questa mossa sono significative.
- Da un lato la FED ha messo enorme pressione sull’ECB.
La banca centrale europea, infatti, sta ancora atteggiandosi da colomba, causando un costante deprezzamento del Euro nei confronti del Dollaro; tale tendenza certo non diminuirà senza un cambiamento di rotta esplicito da Francoforte.
Il problema ulteriore è che un Euro debole crea ulteriori tensioni inflazionistiche e surriscaldamenti dell’economia, aggravando ulteriormente la posizione dell’ECB, che a nostro avviso dovrebbe quindi muoversi con altrettanta decisione nei prossimi meeting.
- Dall’altro lato la FED è riuscita a far diminuire le attese di inflazione implicite nel mercato obbligazionario e quindi a parità di tassi nominali, ha fatto salire i tassi reali a medio e lungo termine.
Tassi reali in crescita sono positivi per gli obbligazionisti e potenzialmente negativi per il mercato azionario. Per questo durante il meeting della FED, ma probabilmente anche durante tutta la settimana precedente, i mercati azionari americani hanno sofferto molto.
Si teme infatti che tassi d’interesse in crescita e minore liquidità presente nel sistema possa far scendere le valutazioni dei titoli azionari; ricordiamo infatti che nei modelli valutativi standard, tassi di interesse in crescita riducono il valore attuale degli utili prospettici delle aziende e quindi ne riducono indirettamente il valore atteso.
Fed: da colomba ad aquila
Molti osservatori ritengono che il passaggio ad aquila della FED abbia definitivamente tolto quella che in gergo si chiama “FED-put” dal mercato azionario, ovvero quella credenza che la FED agisca come un’opzione put per gli investitori (protezione dai ribassi) ed abbia la tendenza ad intervenire in sostegno di qualsiasi correzione dei mercati azionari.
Pensiamo che nel medio periodo tassi in crescita, inflazione in controllo ed economia solida siano al margine positivi anche per i mercati azionari, ma nel breve periodo la volatilità potrà essere crescente, proprio per il fatto che gli investitori stanno iniziando a scontare il fatto che la FED non agirà più come sostenitore indiretto del mercato azionario nel breve periodo.
Nel complesso, tuttavia, il cambiamento di rotta di Jerome Powell è stato una ventata di aria fresca ed un ritorno ai canoni standard di economia e finanza che a nostro avviso da ormai troppi anni sono stati ignorati.
Vedremo nelle prossime settimane se la droga monetaria degli ultimi 15 anni ha reso il mercato troppo dipendente o se esso troverà un nuovo equilibrio.
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