Dal 1 gennaio 2021 entrano in vigore nuove regole previste dall’European Banking Authority (EBA), l’Autorità bancaria europea, per la definizione di default che le banche europee, e quindi anche quelle italiane, dovranno applicare alle posizioni dei loro clienti. In sostanza si tratta dei criteri – più stringenti rispetto alle attuali norme italiane – in base ai quali le banche possono stabilire che un cliente, titolare di un conto corrente, non sia più in grado di ripagare il proprio debito. La nuova definizione di default prevista dal Regolamento europeo relativo ai «requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento» (articolo 178 delReg. UE n. 575/2013) riguarda il modo in cui «gli enti creditizi e le imprese di investimento», e quindi anche le banche, valutano i loro clienti «a titolo prudenziale», cioè decidendo quando non sono in grado di restituire quanto la banca ha loro anticipato. Sono quelli che vengono comunemente chiamati “crediti deteriorati”, in inglese non-performing loan(NPL) o unlikely to pay, cioè quelle che la banca giudica come probabili inadempienze da parte del cliente.
Il regolamento di EBA stabilisce i criteri secondo cui un debito da parte del cliente della banca, e quindi anche uno “scoperto” sul conto corrente, può essere valutato come un credito non recuperabile e quindi il cliente definito come in default. Nel concreto, la norma stabilisce che il debitore sia considerato in default se in arretrato da oltre 90 giorni (in alcuni casi, ad esempio nei confronti delle amministrazioni pubbliche, di 180) nel pagamento di «un’obbligazione rilevante» e se la banca giudica improbabile che il debitore possa pagare il suo debito.
La seconda condizione è già prevista dalle norme italiane e quindi per il cliente e la banca dall’1 gennaio non cambia nulla. Per quanto riguarda le condizioni concrete di default l’EBA stabilisce che un debito scaduto da 90 giorni vada considerato “rilevante” quando il valore dell’arretrato supera entrambe queste soglie: quella definita assoluta, cioè 100 euro per i privati e 500 euro per le imprese e quella relativa, cioè l’1 per cento dell’esposizione complessiva nei confronti della banca.
Facciamo un esempio
Sintetizzando, nel caso di un titolare di conto corrente, la banca può giudicarlo in default se è “in rosso” per almeno 100 euro (500 per le imprese) per 90 giorni consecutivi e se, contemporaneamente, questo “scoperto” è superiore all’1 per cento del credito totale concesso dalla banca a questo stesso cliente. Questa seconda “soglia relativa” vuol dire che, ad esempio, se la banca ha concesso al cliente un mutuo di 100mila euro, per considerarlo in default non basterà uno scoperto di 100 euro per 90 giorni, ma questo debito dovrà essere almeno l’1 per cento di 100mila euro, cioè mille euro: questo perché è evidente che se la banca ha concesso un mutuo per quella cifra avrà effettuato tutte le verifiche che gli avevano garantito, nel margine di rischio, che il cliente avrebbe potuto restituire il debito.
Con la dichiarazione di default la banca può (ma non è obbligata) a procedere alla segnalazione del cliente alla Centrale dei Rischi (CR), gestita dalla Banca d’Italia, che è un archivio di informazioni sui debiti di famiglie e imprese nei confronti del sistema bancario e finanziario. La stessa Banca d’Italia specifica però che «per quanto riguarda le segnalazioni in CR, va ribadito che la nuova definizione di default non modifica nella sostanza i criteri ad esse sottostanti». In concreto, se attuata, la segnalazione alla CR è un atto che blocca per il cittadino o l’impresa la possibilità di accedere al credito, anche per piccoli finanziamenti e rateizzazioni, classificandolo, di fatto, come un “cattivo pagatore”.
Le regole dell’EBA stabiliscono inoltre che non sarà più possibile come in passato compensare il debito scaduto con altre linee di credito che il cliente può avere nei confronti della banca e che il cliente sarà considerato in default anche nei suoi eventuali ulteriori rapporti con la banca.