Perché ha senso parlare di previdenza complementare?
La disciplina della previdenza complementare nasce contestualmente alla riforma del sistema pensionistico pubblico negli anni 90. Cominciamo quindi con il vedere quali cambiamenti sono intervenuti nel regime obbligatorio che hanno reso necessaria una disciplina della previdenza complementare.
Il sistema pensionistico pubblico opera secondo il criterio della ripartizione: i contributi versati oggi da lavoratori e da aziende vengono utilizzati per pagare le pensioni di oggi. Il fatto che non sia previsto alcun accumulo di risorse finanziarie, impone che le entrate (i contributi versati) siano in equilibrio nel tempo con le uscite (le pensioni erogate). In caso contrario, la differenza si tradurrà in deficit pubblico ed andrà a compromettere la sostenibilità dei conti pubblici.
L’andamento demografico in Italia non aiuta a far tornare i conti. La popolazione italiana sta invecchiando: secondo i dati Istat, gli over 65 nel 2001 rappresentavano il 18,5% della popolazione, nel 2020 il 23,2%. Le stime per il 2050 alzano questa percentuale al 35%. Se il trend di invecchiamento della popolazione continua, avremo una quota sempre maggiore di persone che percepiranno la pensione ed una sempre minore che verserà contributi.
L’equilibrio tra entrate ed uscite non dipende solo da variabili demografiche, ma anche da variabili economiche. L’ammontare di contributi dipende infatti dal livello di occupazione e, più in generale, dalla crescita economica del paese.
Di fronte a invecchiamento della popolazione ed al rallentamento della crescita economica, già a partire dagli anni 90 si è intervenuti riformando il sistema pensionistico pubblico.
Il calcolo retributivo ed il calcolo contributivo
Tra tutte le riforme, ci concentriamo sulla Riforma Dini del 1995, con la quale è stato introdotto il metodo di calcolo contributivo.
Prima dell’introduzione di questo metodo, le pensioni si calcolavano applicando il metodo di calcolo retributivo. Nel dettaglio, si prendeva la media delle ultime retribuzioni (10 anni per il lavoratore dipendente e 15 anni per l’autonomo) e la si moltiplicava per un’aliquota per ogni anno di contribuzione. L’aliquota era più alta per chi aveva medie retributive più basse ed arrivava al massimo al 2%.
Con l’introduzione del metodo di calcolo contributivo, la pensione si ottiene a partire dal montante contributivo, ovvero la somma di tutti i contributi versati durante tutta la vita lavorativa, rivalutati ogni anno sulla base della media del PIL nominale dei 5 anni precedenti. Il montante contributivo viene trasformato in rendita sulla base di un coefficiente di conversione che dipende dall’età del soggetto alla data del pensionamento.
A chi si applica il metodo di calcolo contributivo? Sicuramente a chi alla data del 31.12.1995 non aveva versato alcun contributo. A chi invece a quella data aveva versato dei contributi si applica il calcolo misto:
- Retributivo fino al maturato alla data del 31.12.2011 per chi aveva maturato più di 18 anni di contributi versati e poi contributivo;
- Retributivo fino al 31.12.1995 per i lavoratori che avevano maturato meno di 18 anni di contributi versati e poi contributivo.
L’evoluzione dei tassi di sostituzione
Per capire meglio l’effetto sulle pensioni, vi proponiamo di dare un occhio all’evoluzione futura dei tassi di sostituzione. Il tasso di sostituzione è il rapporto fra la pensione ed il reddito da lavoro nell’anno che precede il pensionamento. L’indicatore ci dà un’idea della capacità del sistema pensionistico pubblico di assicurare il mantenimento del tenore di vita al pensionato.
Le pensione calcolata con il metodo di calcolo retributivo dipende dalla retribuzione percepita negli ultimi anni di lavoro e dall’anzianità contributiva, ovvero dagli anni di lavoro. Non dipende dall’ammontare dei contributi versati nel corso della vita lavorativa. Chi è andato in pensione con il metodo retributivo “puro” ha giovato di una copertura pari al 70%/80% rispetto all’ultimo reddito ante pensionamento.
Con il progressivo passaggio al sistema contributivo, il tasso di sostituzione si stima si ridurrà, in media, di 20 punti percentuali, rispetto al tasso di sostituzione assicurato con il metodo retributivo.
(Fonte: Gli andamenti finanziari del Sistema Pubblico Obbligatorio – Rapporto dicembre 2006)
Il metodo contributivo introduce una stretta correlazione tra contributi versati ed entità della prestazione percepita. Diventa molto importante l’aliquota di contribuzione. A parità di retribuzione e di anni di contribuzione, i lavoratori autonomi vedranno una riduzione del tasso di sostituzione maggiore rispetto ai lavoratori dipendenti perché versano meno contributi. Più in generale, quanto più bassa è l’aliquota di contribuzione tanto minore risulterà la pensione.
Inoltre, tutta la storia retributiva, e non solo gli ultimi anni, ha una valenza nella definizione della pensione. Ciò significa che nel caso di “carriere dinamiche”, ovvero di crescita della retribuzione, il tasso di sostituzione sarà ancora più basso. Il tasso di sostituzione si calcola infatti sull’ultimo reddito ante pensione mentre a definire il montante contributivo concorrono tutti gli anni di lavoro. Più in generale, più aumenta il tasso di crescita dei redditi e più si riduce il tasso di copertura.
A questo si aggiunga che la prestazione pensionistica è stata agganciata all’andamento dell’economia del paese. Abbiamo detto che il montante contributivo viene rivalutato sulla base della media del PIL degli ultimi 5 anni. Provate allora a pensare all’effetto del Covid-19 sul Pil e quindi sulla rivalutazione del montante contributivo: a seguito della caduta del Pil dell’8,9% del 2020 si stima che la rivalutazione del montante contributivo sarà nulla e quindi subirà interamente l’effetto dell’inflazione.
È indispensabile aderire alla previdenza complementare?
In conclusione, non è indispensabile aderire alla previdenza complementare, ma è indispensabile pensare ad integrare i redditi futuri derivanti dalla pensione pubblica perché questi non ci consentiranno di mantenere lo stesso tenore di vita del periodo lavorativo. Questo è vero soprattutto per chi andrà in pensione con il metodo contributivo “puro”.
Ci sono molte strade che possono essere intraprese e che consento di avere una rendita da una certa data in poi. In alcuni casi potrebbe essere preferibile non aderire alla previdenza complementare. Tuttavia, in questa mini guida ci concentreremo su disciplina e offerta della previdenza complementare. Anticipiamo che a favore dell’adesione alla previdenza complementare vi sono particolari agevolazioni fiscali che presto vedremo assieme.
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