Mini guida alla previdenza complementare – parte 2

Riprendiamo, con questo nuovo approfondimento, il nostro discorso sulla previdenza complementare.

Abbiamo detto che, a partire dagli anni 80, il sistema pensionistico pubblico è stato riformato. Parallelamente, ci si è adoperati anche per prevedere una disciplina della previdenza complementare che è nata nel 1993 con l’istituzione dei Fondi Pensione e della COVIP (Commissione di vigilanza sui Fondi Pensione).
Cominciamo oggi con il vedere quali sono le forme di previdenza complementare, per poi soffermarci su due variabili che suggeriamo di analizzare al momento della scelta fra l’una e l’altra forma di previdenza complementare.

L’offerta della previdenza complementare

Le forme di previdenza complementare sono tre e sono:

  • Fondi pensione chiusi/negoziali,
  • Fondi pensione aperti e
  • Piani individuali pensionistici.

Fondi pensione chiusi/negoziali e Fondi pensione aperti sono appunto dei Fondi. Quindi, una volta raccolte le adesioni, il patrimonio viene investito in attività finanziarie (azioni, obbligazioni, titoli di stato, ecc.), secondo una politica di investimento predeterminata.

Ciascun Fondo offre diverse linee di investimento alle quali corrispondono diversi livelli di rischio, (in pratica al crescere del rischio cresce la componente azionaria a discapito di quella obbligazionaria). Agli aderenti al Fondo vengono riconosciute delle quote del Fondo. Per cui, ciascun aderente avrà il proprio “conto” individuale e l’ammontare della sua posizione dipenderà da versamenti, rendimenti e costi.

La differenza tra i fondi chiusi ed i fondi aperti è che i Fondi pensione negoziali o chiusi sono istituiti da accordi collettivi: Contratti collettivi nazionali; Regolamenti aziendali; Sindacati; Regioni e sono accessibili solo a determinate categorie di lavoratori. Mentre, i Fondi pensione aperti sono istituiti dall’iniziativa unilaterale di intermediari finanziari quali banche, sim, sgr, imprese di assicurazione e sono aperti all’adesione di tutti i lavoratori.

I Piani individuali Pensionistici, invece, sono contratti di assicurazione sulla vita promossi da intermediari finanziari quali le assicurazioni. I PIP possono costituirsi nella forma di contratto di assicurazione sulla vita di ramo I oppure di ramo III. Nel primo caso i premi confluiscono nella Gestione separata che investe in attività a basso rischio finanziario (principalmente titoli di Stato). Nel secondo caso, i premi confluiscono in uno o più Fondi Interni e/o Esterni all’impresa di assicurazione che possono configurare differenti profili di rendimento – rischio. Anche in questo caso, la posizione individuale dipenderà dall’ammontare dei premi versati, dai risultati conseguiti dalla Gestione Separata o dai Fondi Interni e/o Esterni all’impresa di assicurazione, nonché dai costi.

La modalità di adesione ed il contributo datoriale

Una delle variabili sulla quale vogliamo indirizzare la vostra attenzione è la modalità di adesione al Fondo pensione. Perché l’adesione su base collettiva alla previdenza complementare è uno dei due requisiti che deve essere soddisfatto se si vuole avere diritto ad un contributo da parte del datore di lavoro.

Abbiamo detto che i Fondi pensione chiusi sono istituiti da accordi collettivi, quindi l’adesione ad un fondo
chiuso può avvenire solo su base collettiva. Questo può essere il caso, ma non la regola, dei Fondi aperti
perché potrebbe essere previsto ad esempio un accordo collettivo aziendale. Quindi per i Fondi aperti può essere prevista la possibilità di adesione su base collettiva altrimenti si aderisce individualmente. Mentre, non è sicuramente il caso dei PIP che, trattandosi di contratti di assicurazione sulla vita, possono raccogliere le adesioni solo su base individuale.

Il secondo requisito da soddisfare affinché insorga nel datore di lavoro il dovere di versare la quota a suo carico è versare la contribuzione a proprio carico prevista da quel contratto/accordo collettivo.

Beneficiare o non beneficiare del contributo datoriale fa la differenza! Facciamo ora un esempio numerico per il quale il contributo datoriale versato per 37 anni determina una differenza di quasi 25.000 € nel montante finale di due contribuenti.

Mario e Pietro hanno entrambi 30 anni, la stessa retribuzione annua lorda di 30.000 €, versano il TFR ed il contributo aggiuntivo volontario. Ipotizziamo che non vi sia né inflazione né crescita salariale e che i costi ed i rendimenti dei due Fondi pensione siano identici.

In particolare, ipotizziamo che il rendimento netto del Fondo sia pari al 2% annuo. L’unica differenza tra i due riguarda la modalità di adesione alla previdenza complementare: Mario aderisce su base collettiva e, versando la sua quota, ha diritto alla contribuzione del datore di lavoro mentre Pietro non ne ha diritto perché aderisce su base individuale alla previdenza complementare. I contributi annui totali per Pietro sono di circa 2.500 €, mentre per Mario, che beneficia del contributo datoriale sono di quasi 3.000 €.

Il montante (capitale più interessi), dopo 37 anni, è pari a circa 164.000 € per Mario e 139.000 € per Pietro. La differenza di 25.000 € dipende dai 450 euro l’annoversati dal datore di lavoro e dagli interessi che questi hanno fruttato.

tabella esempio differenza contributiva

I costi

La seconda variabile che riteniamo di notevole importanza è la variabile costi perché tutto ciò che è speso in costi è rendimento perso.

La COVIP pubblica per ciascuna forma di previdenza complementare e per ciascuna linea di investimento un indicatore di costo percentuale che prende il nome di Indicatore Sintetico dei Costi (ISC). L’indicatore viene calcolato, su differenti orizzonti temporali (2 anni, 5 anni, 10 anni e 35 anni) con riferimento a un aderente-tipo che versa un contributo annuo di 2.500 euro e ipotizzando un tasso di rendimento annuo del 4%.

grafico rendimento

Anche in questo caso è utile fare un esempio numerico per comprendere l’impatto dei costi
sull’investimento nel tempo. Costruendo l’esempio sulle ipotesi utilizzate per stimare gli ISC e utilizzando gli ISC effettivi di due diverse forme di previdenza complementare, due contribuenti potrebbero accedere a montanti che differiscono anche di 37.000 €.

Facciamo un nuovo esempio

Di nuovo abbiamo due contribuenti di 32 anni, Carlo e Alberto che versano circa 2.500 € l’anno nel fondo pensione.

Ipotizziamo che non vi sia né inflazione né crescita salariale e che quindi l’entità del contributo annuo non vari nel tempo. Ipotizziamo anche che il rendimento lordo, ovvero prima dell’applicazione dei costi, dei Fondi pensione scelti sia pari al 4% annuo.

Diversi sono però i costi dei Fondi e quindi i rendimenti netti. In particolare, Carlo ha scelto la linea bilanciata di un Fondo pensione aperto che ha un ISC a 35 anni pari al 1,32%; mentre Alberto ha scelto la linea bilanciata di un Fondo pensione negoziale che ha un ISC a 35 anni pari allo 0,24%.

Dopo 35 anni di adesione al Fondo il montante di Carlo sarà di circa 147.000 € mentre quello di Alberto sarà di circa 184.000 €. La differenza di circa 37.000 € è tutta da ricondurre al maggiore costo del Fondo scelto da Carlo.

 

tabella versamenti

Conclusione

Concludendo, i costi ed il contributo datoriale non sono gli unici due fattori da considerare nella scelta del Fondo pensione. Tuttavia, poiché messi sulla bilancia hanno il potere di spostare gli equilibri verso l’una o l’altra forma di previdenza complementare, abbiamo deciso di dedicargli ampio spazio.


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