Mr Market ha sempre ragione.

Nuovi massimi. Nel momento esatto in cui stiamo scrivendo questa Newsletter l’indice azionario americano Nasdaq 100 ha superato il massimo storico del 19 febbraio 2020 ed ha completamente azzerato le perdite causate dalla pandemia COVID. Anche l’indice S&P500 ed il DAX, indici azionari con una più elevata componente industriale, sono saliti molto rispetto ai minimi di marzo e sono distanti rispettivamente 5% e 7% dai massimi storici.

Di fronte a queste enormi salite (e discese se si considerano i mesi di febbraio e marzo) molto spesso si cerca di capire se sono variazioni giustificate dai fondamentali o sulla base dell’analisi tecnica, tuttavia c’è un detto a Wall Street che calza a pennello: “Mr. Market ha sempre ragione”, indipendentemente da tutto.

In questo senso non ci si deve chiedere se sia corretto o giustificabile il movimento, bensì la prima domanda a cui rispondere è perché vi è stato questo movimento. Perché nonostante le principali economie mondiali siano colpite dalla peggiore crisi economica dalla Grande Depressione degli anni 20 del secolo scorso, le azioni stanno salendo ed alcune di esse sono a nuovi massimi storici? Perché Amazon, una delle società più capitalizzate al mondo, con un fortissimo rischio di essere regolamentata e splittata, ha un Price Earning (multiplo di prezzo sugli utili) di oltre 100 volte? Perché Netflix, una società che trasmette contenuti di intrattenimento anch’essa con un PE stratosferico (oltre 80), ha una capitalizzazione di 184 Miliardi di dollari, ovvero circa la metà del PIL della Finlandia?

La risposta più calzante a nostro avviso è sempre la stessa: gli stimoli monetari e fiscali sostengono i prezzi delle azioni. Il grafico sotto riportato paragona l’andamento degli asset detenuti dalle principali banche centrali mondiali e l’andamento dell’S&P500. Seppur non sia una scienza esatta, sembra consistente l’idea che l’aumento dei titoli detenuti dalle banche centrali (linea blu), abbia messo una barriera definita “floor” all’andamento dell’indice americano. Notiamo inoltre come negli ultimi mesi gli asset totali siano cresciuti esponenzialmente da 14.500 miliardi ad oltre 19.000 miliardi, una crescita che a confronto rende lo stimolo globale del 2008 una finanziaria del governo Monti.

Solo per dare un ordine d’idea, i 4.500 miliardi immessi nel sistema in poco meno di 3 mesi equivalgono al PIL dell’Italia e della Francia messi assieme.

Non sorprende quindi che parte di questi 4.500 miliardi di nuova liquidità, che secondo alcuni osservatori potrebbero più che raddoppiare nel corso del 2020, possa confluire nelle Amazon o Netflix del mondo, sostenendone la valutazione anche in un contesto economico non certo senza incertezze.

La seconda risposta è anch’essa legata allo stimolo monetario, ma indirettamente: i titoli obbligazionari hanno rendimenti troppo bassi. Infatti, la maggior parte dei 4.500 miliardi confluisce direttamente nel mercato obbligazionario governativo, portando i tassi a zero, o talvolta in territorio negativo. Tassi di interesse zero o negativi generano un paradosso che a nostro avviso sarà giudicato dai posteri come uno dei più grandi fallimenti del sistema capitalista moderno: gli investitori devono pagare per prestare i soldi ai governi.

Anche in questo caso, quindi, non sorprende che i fondi pensione, le assicurazioni, le fondazioni ed in generale gli investitori, dopo aver allocato più del 50% dei loro asset in titoli che, se va bene, non rendono nulla e se va male hanno ritorni matematicamente negativi, sono costretti a guardare al mercato azionario con la speranza di ottenere almeno una briciola di ritorno.

Molti sostengono inoltre che le azioni salgono anche perché l’economia sta migliorando. Tuttavia, questa teoria è quella che ci convince meno. Anche se l’economia fosse in piena salute, infatti, non vi sarebbe comunque nessun razionale per pagare oltre 4.27 volte il fatturato per un paniere di aziende (il Nasdaq) con un tasso di crescita potenzialmente vicino a zero. Se non ci credete provate a chiedere a qualsiasi imprenditore veneto se venderebbe la propria azienda per 4,27 volte i ricavi, o meglio se acquisterebbe delle aziende avviate (non start-up) per 4.27 volte le vendite, con prospettive di crescita zero.

Se queste sono le risposte, a nostro avviso perfettamente razionali, per giustificare l’andamento delle azioni in questo periodo, non vi è forse una elevata probabilità che simili condizioni di stimolo monetario continuino anche in futuro, giustificando a sua volta ulteriori rialzi delle azioni?

In parte questa teoria è a nostro avviso condivisibile. Per questo riteniamo che una eccessiva diminuzione dell’esposizione azionaria sia sconsigliabile in questa fase. Lo stimolo monetario e fiscale è troppo elevato per essere ignorato.

Dall’altro lato però vi sono due aspetti estremamente importanti da tenere in considerazione. Il rischio di fallimento di alcune aziende presenti nei panieri azionari è sensibilmente salito. Al fallimento nessuno stimolo monetario può porre rimedio e le azioni dell’aziende in difficoltà, andranno a zero. Inoltre, c’è anche il rischio, seppur remoto che le manovre delle banche centrali e dei governi siano così estreme da generare conseguenze inattese e destabilizzanti. Le tensioni sociali a cui stiamo assistendo in questi giorni in USA dipendono solo in parte al razzismo, esse sono causate anche da un montante malumore per le disuguaglianze sociali (economiche e finanziarie in primis) che le politiche monetarie hanno alimentato.

Sia un crescente numero di fallimenti che nuove ed inattese conseguenze inattese della politica monetaria e fiscale ultra-espansiva, sarebbero scenari molto negativi per le azioni anche in presenza di ampia liquidità nel sistema.

In sostanza stiamo vivendo in un mondo dove i possibili scenari futuri hanno enorme varianza rispetto ad uno scenario ed una tendenza mediana. L’investitore è costretto a bilanciare, per quanto può, questa forte incertezza, mixando asset azionari rischiosi, con asset volatili ad essi diversificati e con liquidità.

8 Giugno 2020