Stimoli post-pandemici

Se domani lo Stato ti regala 1.000€ che cosa ne fai? Li usi per ripagare i debiti accumulati nel corso degli anni, li depositi in conto corrente per accumulare i tuoi risparmi, oppure li spendi?

Ed ancora, li spendi per beni di prima necessità, per beni e servizi “superflui” o li utilizzi assieme ai tuoi risparmi per avviare investimenti in beni durevoli (casa, macchina, …)?

Infine, se ipotizzassimo che questi 1.000€ non solo ti arrivino una tantum, ma che diventino un’entrata ripetitiva ogni 2/3 mesi, come questo inciderebbe nelle scelte di consumo sopra ipotizzate?

Economisti, politici ed analisti di mercato dovrebbero rispondere a queste domande se vogliono stimare l’effetto degli stimoli fiscali sulla crescita economica ed indirettamente sull’andamento dei mercati finanziari.

La teoria vuole che per ogni Euro di stimolo immesso nell’economia, il policymaker debba cercare di ottenere il più alto moltiplicatore di crescita economica che esso genera. Non si parla solo di Euro (o dollari) di PIL nell’anno di introduzione dello stimolo fiscale, bensì di Euro (dollari) di PIL negli anni successivi, anche considerando il fatto che “teoricamente” ogni euro di stimolo immesso oggi, si tramuterà in un euro di tasse inserito domani.

La complessità della questione è enorme

anche perché non esiste una risposta universalmente corretta.

Gli USA, per esempio, sono storicamente più spendaccioni e quindi tendono ad avere moltiplicatori di breve periodo più elevati. Gli europei, in particolare gli italiani, hanno tassi di risparmio elevati e quindi a parità di stimolo, tendono ad utilizzare meno denaro per acquisto di beni e servizi generando un moltiplicatore di breve periodo più contenuto.

Anche la congiuntura economica incide enormemente sul moltiplicatore.

Uno stimolo dato in un periodo di paura e di avversione al rischio, avrà un moltiplicatore sul PIL più contenuto, mentre l’inverso avviene nel caso in cui l’incentivo fiscale viene concesso in un periodo di ottimismo e propensione al rischio.

Ecco, quindi, che con questi pochi concetti base di economia politica possiamo provare a spiegare le scelte che i vari governi hanno effettuato per arginare la crisi pandemica e quelle che stanno compiendo per rilanciare l’economia.

Partiamo dalla prima risposta alla crisi COVID durante il primo trimestre 2020.

In questo contesto l’esigenza dei governi era quella di evitare il fallimento delle aziende e delle famiglie, di non avere picchi di disoccupazione incontrollati e di arginare la volatilità finanziaria.

I governi, a nostro avviso, ben sapevano che in questa fase di estrema avversione al rischio, ogni euro a fondo perduto immesso nel sistema non avrebbe avuto un gran moltiplicatore sul PIL di medio periodo.

Per questo motivo, probabilmente con una scelta corretta, il focus è stato quello di bloccare per quanto possibile i licenziamenti (aumento cassa integrazione e incentivi ad aziende virtuose) e bloccare la caduta dei mercati finanziari (immesso intervento monetario delle banche centrali).

Inoltre, tutti i paesi sviluppati hanno congelato il pagamento dei debiti ed hanno “statalizzato” il rischio di credito del proprio tessuto imprenditoriale. Soprattutto in Europa, le banche hanno rinegoziato i prestiti alle aziende includendo garanzie pubbliche che le tutelano in caso di fallimento di tali crediti, ciò non solo ha arginato possibili “bank run” e crolli delle azioni bancarie, ma ha anche dato fiducia e sostegno al tessuto imprenditoriale.

Infine, per evitare tensioni sociali, molti governi hanno introdotto dei sussidi a fondo perduto per le fasce più colpite dalla crisi, tuttavia con l’eccezione degli USA tali fondi non hanno avuto un gran moltiplicatore sui consumi.

Lo sforzo è stato senza precedenti ed è servito per evitare l’oblio.

Ben diverso è lo sforzo necessario per far ripartire l’economia nella fase post pandemica. Qui la strategia adottata da ogni stato è estremamente importante per il successo della ripartenza.

Partiamo da un presupposto di fondo. Oggi le famiglie e le imprese sono meno avverse al rischio rispetto al primo semestre 2020. Certo ci sono alcune famiglie e alcune attività che sono in estrema crisi, ma nel complesso l’economia e la società sono in un periodo di propensione al rischio, al consumo ed all’investimento. Non dimentichiamo che le misure di primo contenimento della crisi hanno arginato i licenziamenti, molti hanno preservato lo stipendio ed in aggiunta vengono da 12 mesi di risparmio forzato.

C’è voglia di uscire, consumare, spendere, vivere, pianificare.

C’è voglia di gettarsi gli ultimi 12 mesi alle spalle e guardare avanti. Ampie fette della popolazione potrebbero essere quindi pronte a consumare ed investire eventuali stimoli fiscali senza batter ciglio, il potenziale moltiplicatore di breve periodo potrebbe essere molto elevato.

La prima evidenza di tale dinamica la si sta vedendo negli USA, paese più snello e disinvolto di altri nel concedere contributi a fondo perduto. Il piano di ristori da 1.900 miliardi di dollari proposto da Biden ed approvato in Marzo 2021 dal Congresso americano, prevedeva elargizioni dirette ai cittadini e famiglie americane che, in alcuni casi, potevano arrivare anche fino a 9.800 USD a famiglia. I dati delle vendite al dettaglio americane di marzo inglobano solo in parte tali politiche, ma evidenziano una tendenza inequivocabile, con una crescita delle vendite del 27% anno su anno. Ciò va ben oltre le attese, basti pensare che il livello assoluto di vendite al dettaglio (escludendo cibo e bevande) è oggi in USA del 20% sopra i livelli pre-pandemia.

US retail sales (crescita anno su anno %)

Gli Usa non si sono tuttavia limitati ad effettuare un pacchetto ristori colossale, ma stanno già ipotizzando un piano infrastrutturale da oltre 2.000 miliardi. Tutto questo in una fase dove le aziende stanno già andando bene e l’economia sta crescendo. Molti osservatori ritengono che anche in questo caso il moltiplicatore sarà estremamente favorevole per l’economia americana, quantomeno nel breve termine.

In Europa, come spesso accade, i policymaker sono più cauti e stanno utilizzando strumenti diversi.

I sussidi a fondo perduto sono pochi e limitati alle aree più colpite dalla pandemia, a nostro parere si può ragionevolmente dire che tali sussidi sono il minimo necessario per evitare tensioni sociali destabilizzante. Non è un caso che per il momento le vendite al dettaglio non siano gran che migliorate, anche se i dati di marzo 2021 devono ancora uscire.

 

ES retail sales (crescita anno su anno %)

Ancora una volta sta emergendo quindi la relativa ortodossia dell’Europa (germanocentrica) rispetto alle altre aree economico e finanziarie. Sta emergendo in sostanza il concetto che l’Europa pensa di avere spazio limitato per stimolare le proprie economie senza mettere in pericolo la stabilità finanziaria di medio lungo termine e quindi non vuole sprecare le cartucce a propria disposizione con politiche di ristoro che avrebbero probabilmente un moltiplicatore molto contenuto.

Se la storia e la statistica corroborano questa visione dei fatti (gli europei come detto, tendono a risparmiare di più di altri), forse oggi le cose stanno un po’ cambiando: vi è una voglia diffusa di consumare ed investire nel futuro e l’inflazione sta piano piano mettendo le proprie radici in settori chiave dell’economia. In questo senso gli stati europei potrebbero magari mettere un po’ più di benzina nelle tasche dei consumatori.

Detto questo, tuttavia, anche in Europa gli stimoli arriveranno, non tanto tramite sussidi al consumo, bensì tramite sussidi agli investimenti, con particolare riguardo agli investimenti in educazione, digitalizzazione e sostenibilità ambientale.

Il piano europeo denominato Next generation EU prevede 750 miliardi di Euro e, usando le parole della commissione europea, “contribuirà a riparare i danni economici e sociali immediati causati dalla pandemia di coronavirus per creare un’Europa post COVID-19 più verde, digitale, resiliente e adeguata alle sfide presenti e future”. La visione è che tale stimolo incentiverà, con un moltiplicatore estremamente positivo gli investimenti di medio-lungo periodo ed il PIL potenziale europeo. Non solo, tale piano infatti porterà ad una variazione virtuosa della società moderna verso una forma più sostenibile e coesa.

Con estrema onestà riteniamo la visione europea corretta e lungimirante, ma estremamente timida e sottodimensionata rispetto a quella americana. Non solo gli Usa stanno rischiando di più (circa 4.000 miliardi di dollari di potenziali stimoli contro i 900 miliardi di dollari o 750 miliardi di euro dell’Europa), ma lo stanno facendo più velocemente ed in un periodo di estremo ottimismo dove il moltiplicatore sarà massimo.

Dal punto di vista ortodosso si potrebbe dire che gli USA dovranno aumentare le tasse nei prossimi anni per compensare la maggiore spesa attualmente elargita, causando una consequenziale contrazione dell’economia. Tuttavia, oggi l’ortodossia è stata completamente spazzata via dal comportamento delle banche centrali, le quali stanno finanziando con moneta creata elettronicamente queste spese. Fino a quando l’inflazione ed i tassi di interesse di mercato lo permetteranno, non vi sono più vincoli di bilancio. Gli USA stanno agendo di conseguenza, l’Europa no.

Certo piuttosto di niente è meglio piuttosto, quindi anche lo stimolo per la ripartenza europeo ed in particolare quello italiano discusso in questi giorni in Parlamento, avranno un impatto molto positivo sulla crescita sia nel medio che nel lungo periodo. Tuttavia, sarà probabile continuare ad evidenziare crescita ed inflazione maggiori negli USA rispetto all’Europa. Con il rischio di coda di avere un euro tendenzialmente forte contro il dollaro che metta ulteriore freno alla ripartenza.


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29 Aprile 2021