di Marco Corazza
Dipartimento di Economia, Università Ca’ Foscari Venezia
L’indice di Sharpe o, all’anglosassone, Sharpe ratio è uno tra gli indicatori finanziari più utilizzati nell’industria degli investimenti.
Questo indice venne proposto nel 1966 da William Forsyth Sharpe, vincitore del Premio Nobel per l’economia, in un suo articolo intitolato “Mutual fund performance”, pubblicato nella prestigiosa rivista scientifica internazionale “The Journal of Business”.
Cos’è l’indice di Sharpe
Semplificando un po’, questo ratio fornisce una misura normalizzata della performance di un investimento rischioso (ad esempio, azioni finanziarie), misura calcolata tenendo congiuntamente in considerazione sia l’extra-rendimento dell’investimento, positivo o negativo che possa essere, sia il rischio dell’investimento medesimo.
Un po’ più in dettaglio, questo indice misura quanto mediamente un investimento in attività rischiose faccia guadagnare/perdere di più rispetto ad un investimento in attività prive di rischio (ad esempio, titoli di Stato) rapportando però tale guadagno/perdita al rischio dello stesso investimento rischioso.
Come interpretare l’indice di Sharpe
Pertanto, lo Sharpe ratio si può interpretare come una sorta di costo unitario del rischio che chi vende l’attività rischiosa deve “pagare” a chi questa attività rischiosa compera. Non a caso, nell’articolo sopra ricordato W. F. Sharpe aveva battezzato questo indice con il nome di “reward-to-variability ratio”.
Usare questa misura di performance corretta per il rischio è, in linea di principio, semplice. Parafrasando quanto riportato nel sito web di Morningstar, una delle società leader a livello mondiale nella consulenza finanziaria, maggiore è il valore dell’indice di Sharpe, migliore è l’extra-performance (storica) dell’investimento rischioso.
In particolare, uno Sharpe ratio positivo indica un guadagno medio rispetto all’attività priva di rischio, mentre uno Sharpe ratio negativo indica una perdita media rispetto all’attività priva di rischio, guadagno e perdita ovviamente rapportati al rischio dell’investimento rischioso.
Come si calcola l’indice di Sharpe
Anche calcolare l’indice di Sharpe è, in linea di principio, semplice. Ancora parafrasando quanto riportato nel sito web di Morningstar, questo indice si calcola secondo la seguente formula:
in cui è il rendimento medio dell’investimento rischioso,
è il rendimento certo dell’attività priva di rischio e
è la deviazione standard, anche nota come volatilità, del rendimento dell’investimento rischioso.
Facciamo un esempio
Andiamo ora ad applicare questa formula ai rendimenti realizzati da tre ipotetici diversi investimenti rischiosi, indicati rispettivamente con Investimento A, Investimento B e Investimento C.
Ipotizziamo che la durata dei tre gli investimenti rischiosi sia di cinque anni e che per ciascuno di essi venga calcolato il rendimento ottenuto alla fine di ognuno dei cinque anni. Inoltre, per semplicità e senza perdita di generalità, ipotizziamo anche che .
Nella tabella che segue, per ognuno dei tre ipotetici investimenti rischiosi si riportano i rispettivi rendimenti annui (colonne indicate con “Rendim.”) e si riportano i corrispondenti valori assunti da un capitale di 100,00 euro investito all’inizio del primo anno in ognuno di essi (colonne indicate con “Capitale”).
Dalla Tabella 1 è agevole rilevare che al termine dei cinque anni l’Investimento A ha conseguito un guadagno di 2 euro, mentre sia l’Investimento B che l’Investimento C hanno subito delle perdite, rispettivamente di 1,76 euro e di 0,02 euro.
Ora, dati questi ultimi risultati e secondo quanto ricordato nella parte iniziale di questa nota, sarebbe lecito attendersi che lo Sharpe ratio dell’Investimento A fosse positivo e che gli Sharpe ratio degli Investimenti B e C fossero entrambi negativi.
Al fine di verificare se questa “verità” finanziaria sia confermata, nella tabella che segue si riportano per ognuno dei tre ipotetici investimenti rischiosi i valori delle quantità necessarie per il calcolo degli indici di Sharpe ed i valori di questi ultimi (si ricorda che per semplicità abbiamo ipotizziamo che ).
Dall’ultima riga della Tabella 2 è semplice verificare che gli Sharpe ratio dell’Investimento A e dell’Investimento B sono coerenti con i risultati riportati nella Tabella 1, mentre, forse con un po’ di stupore, si constata che l’indice di Sharpe dell’Investimento C fornisce un’informazione opposta a quella riportata nella Tabella 1.
Infatti, mentre dalla Tabella 1 si rileva che l’Investimento C ha subito una perdita di 0,02 euro, e quindi ha performato peggio rispetto all’investimento nell’attività priva di rischio, dalla Tabella 2 si rileva che lo Sharpe ratio dell’Investimento C è positivo, e quindi che l’Investimento C ha performato meglio rispetto all’investimento nell’attività priva di rischio.
Che succede?
L’indice di Sharpe perde colpi? W. F. Sharpe ha sbagliato qualche cosa?
Per fortuna nulla di tutto ciò. Infatti, questo strano comportamento dell’indice di Sharpe non è imputabile né all’indice medesimo, né tantomeno a W. F. Sharpe. Piuttosto, esso è attribuibile ad una prassi ampiamente diffusa ed utilizzata, ovvero quella di calcolare il rendimento medio dell’investimento rischioso, cioè , mediante la media aritmetica.
L’utilizzo di questo tipo di media per calcolare rendimenti per l’appunto medi è corretto nell’ambito del regime finanziario dell’interesse semplice. Ma come noto, i rendimenti delle attività rischiose non seguono le regole di quest’ultimo regime finanziario, bensì quelle del regime finanziario dell’interesse composto. E nell’ambito del regime finanziario dell’interesse composto i rendimenti medi sono correttamente calcolati mediante la media geometrica.
E allora, perché nella prassi si utilizza la media aritmetica quando invece dovrebbe essere correttamente utilizzata quella geometrica?
Sostanzialmente, per motivi di praticità. Infatti, dato che in questo genere di calcoli finanziari la media aritmetica costituisce una buona approssimazione della media geometrica e dato che la media aritmetica è più facile da calcolare della media geometrica, generalmente si usa la prima al posto della seconda.
In particolare, il livello di approssimazione introdotto dall’utilizzo della media aritmetica al posto di quella geometrica è “piccolo”, e quindi ha un impatto minimo sul calcolo dello Sharpe ratio. Però, quando il guadagno o la perdita in conto capitale sono piccoli (e la perdita dell’Investimento C è uguale a solo 2 centesimi di euro), allora anche una piccola approssimazione nel calcolo del rendimento medio dell’investimento rischioso può fare “sballare” l’indice di Sharpe.
Concludendo, al fine di esemplificare quanto da ultimo detto, ricalcoliamo per ognuno dei tre Investimenti A, B e C i valori dei corrispondenti indici di Sharpe, questa volta però utilizzando la media geometrica invece della media aritmetica. Tali valori sono riportati nella tabella che segue.
Confrontando questi valori corretti dello Sharpe ratio con quelli approssimati riportati nell’ultima riga della Tabella 2 si può notare che, in effetti, le differenze introdotte dall’approssimazione sono minime e, soprattutto, che l’indice di Sharpe dell’Investimento C è ora coerente (in quanto negativo) con la perdita in conto capitale del medesimo investimento.
Ecco giustificato uno strano comportamento dello Sharpe ratio!
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